Nico, il ragazzo che tracciava il campo

Arrivava attorno alle 18.30. Forse il momento più bello per chi vive la spiaggia d’estate. Il sole ancora alto, ma non sufficientemente per emanare il suo completo calore. Il mare che rallenta il suo battito ondoso e si riappropria di un intenso colore blu. Infine le famiglie, che iniziano i preparativi per tornarsene a casa, richiamando le orde di bambini sparsi per una doccia poco desiderata e cercando di ridare una sembianza d’ordine ad una capanna che li ha ospitati generosamente.

In questo apparente ritorno alla tranquillità e convocato un gruppo di amici, lui iniziava a tracciare metodicamente le righe di un campo degno di ospitare i migliori incontri visti sulle spiagge di Copacabana. Quattro, cinque o sei per squadra e poi si dava inizio ad epiche sfide calcistiche. Questo accadeva ogni sera, per l’intera stagione balneare.

Quel ragazzo, all’anagrafe Nicola Cannata, sulle spiagge adibite a campi da calcio Nico, ancora oggi è protagonista di importanti match. A caratterizzare le sue partite oggi però non sono più il pallone e la sabbia, ma la ricerca, l’insegnamento universitario e le aziende innovative.

Lo recupero telefonicamente alla stazione ferroviaria di Civitanova Marche in uno dei suoi tanti trasferimenti per raggiungere la sua Università, a Camerino. Approfittando anche della mezz’ora d’attesa per la sua prossima coincidenza, iniziamo a chiacchierare e a fare il punto sulla sua situazione di ricercatore e non solo.

“Toglimi subito una curiosità. Cosa c’entri con la scoperta del genoma. Qual è stato il tuo contributo?”

“Benché un premio nobel italiano, Renato Dulbecco, sia stato tra i proponenti del progetto Genoma Umano già nel 1986, è triste dire che poi di fatto l’Italia non ha partecipato direttamente al consorzio internazionale che nel 2000 ha ottenuto la prima sequenza (quasi) completa del DNA presente nel nucleo delle cellule umane. Durante quegli anni, nel gruppo di ricerca dell’Università di Padova presso cui lavoravo, siamo comunque riusciti a realizzare un catalogo (in termini tecnici, un database) di migliaia di geni che abbiamo identificato come attivati (“trascritti”) nei muscoli umani. La ricerca fu finanziata da Telethon, che ogni anno raccoglie, principalmente attraverso la televisione, fondi per finanziare la ricerca sulle malattie genetiche. E’ grazie anche ad organizzazioni come questa ed alla generosità di molti italiani che la ricerca può sopravvivere in Italia. Infatti buona parte di questi soldi, come avvenne per me, servono a pagare borse di studio e contratti di collaborazione a tanti giovani ricercatori (precari).”

“Tu oggi ricopri diversi ruoli professionali strettamente collegati. Partendo appunto dalla figura di ricercatore, riesci a spiegare ad uno come me, poco avvezzo alle conoscenze scientifiche, in cosa consiste il tuo lavoro?”

“Un ricercatore legge e studia molto, soprattutto articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali che presentano nuove scoperte o riassumono lo “stato dell’arte” in un particolare settore della scienza. Non abbiamo orari di lavoro perché si può dire che siamo costantemente in azione 24 ore su 24, 7 giorni su 7. E’ difficile “spegnere” il cervello, anche durante i periodi di vacanza o addirittura prima di addormentarsi. Nel fondo della nostra mente c’è sempre un problema da risolvere, una spiegazione da trovare, un concetto da elaborare. E talvolta la soluzione fa capolino nei momenti più impensati, magari durante un viaggio o nel mezzo di una notte insonne. Una parte del mio lavoro, faticosa ma piacevole e che dà molte soddisfazioni, è poi la docenza universitaria.”

“In veste di docente cosa insegni e che rapporto hai con l’insegnamento e i tuoi studenti?”

“Mi occupo di trasmettere delle competenze tecniche a studenti delle lauree in informatica, bioscienze e biotecnologie, e scienze biologiche. In particolare insegno agli informatici a progettare e gestire delle basi di dati. Ai biologi insegno i principi dell’informatica e della bioinformatica (la scienza che c’è dietro a scoperte come quella del genoma). Come ti accennavo, dà molta soddisfazione vedere che dei giovani biologi, che magari avevano sempre “litigato” coi computer, alla fine dei miei corsi sono in grado di scrivere dei programmi che li aiutano nei loro esperimenti. Va osservato infatti, che oggi, molta della biologia molecolare non si svolge più al bancone e con le provette, ma al computer.”

“Se non sbaglio il tuo percorso iniziale era leggermente diverso. Cosa ti ha portato verso il mondo universitario? Quando hai capito che questa poteva essere la tua vera strada?”

“In effetti, da giovane laureato in informatica trovai rapidamente lavoro in aziende del settore. Il mio sogno però era sempre stato quello di fare lo scienziato. Sin da piccolo, quando leggevo “Topolino” rimanevo affascinato da Archimede Pitagorico e dalle sue invenzioni! Così sentii sempre più forte il bisogno di dare anch’io un umile contributo al progresso dell’umanità e, lasciati gli argomenti “gestionali”, grazie all’intuizione di un caro amico, mi ritrovai rapidamente impegnato in partite di gran lunga più impegnative e importanti, che possono significare anche la speranza di sconfiggere delle terribili malattie.”

“Questo cambiamento ti ha fatto approdare, in maniera quasi consequenziale anche al mondo imprenditoriale. Si parla tanto di aziende innovative, qual è la tua testimonianza reale a riguardo?”

“In effetti le capacità tecniche e le conoscenze faticosamente acquisite durante il lavoro di ricerca possono essere molto apprezzate anche da altri gruppi di ricerca o da aziende. Non è facile trovare delle persone costantemente al passo con l’evoluzione della scienza e della tecnologia. Queste ultime progrediscono a velocità spaventose. Pensa che il progetto Genoma Umano impiegò quasi 3 miliardi di dollari e 13 anni di lavoro di moltissimi gruppi di ricerca mentre ora ci sono già delle aziende statunitensi in grado di fornire lo stesso risultato in pochi giorni e al costo di poche migliaia di dollari. Nel prossimo futuro ognuno potrà conoscere il proprio genoma e ricevere medicine (e magari anche diete e indicazioni sugli stili di vita da seguire) personalizzate.

Tornando al presente, purtroppo nell’accademia italiana è difficile (per non dire quasi impossibile) offrire uno sbocco stabile ed economicamente dignitoso ai numerosissimi ricercatori precari. A quel punto rimangono due possibilità: la “fuga del cervello all’estero” (dove i nostri ricercatori sono tra i più apprezzati per l’impegno, spirito di sacrificio e genialità) oppure la costituzione, assieme ai colleghi, di un’azienda innovativa che trasferisca le competenze e gli eventuali risultati della ricerca sul mercato. Io per il momento sto sperimentando la seconda possibilità e attualmente sono impegnato in 3 di queste “avventure” imprenditoriali. Va precisato che anche in questo caso finora sono stati fatti tanti sacrifici e si è solo “seminato”. Speriamo un giorno di raccogliere anche il frutto di tanto lavoro! In Italia siamo comunque in buona compagnia. Negli ultimi anni infatti, sempre di più sono state le aziende “spinoff” innovative uscite direttamente dai laboratori delle università italiane, grazie anche ad una mentalità ed a politiche che stanno lentamente migliorando e che favoriscono iniziative di questo tipo, considerate una ricchezza per l’università e per il paese.”

Panoramica di Camerino innevata

Veniamo interrotti dal passaggio di un Eurostar, che con il suo frastuono c’impedisce di comunicare per alcuni istanti. Il mondo di Nico mi sta appassionando. Approfitto di questa pausa forzata per riordinare le idee prima di addentrarmi meglio nello stato d’animo di un giovane e in gamba ricercatore, di fronte alle difficoltà che quotidianamente incontra.

“Ha ancora un significato oggi la parola ricerca in un Paese come il nostro dove questa funzione (ndr primaria) sembra subire solo l’ostracismo da parte della sua classe dirigente?”

“Purtroppo come dici bene te, questa classe dirigente sembra avere ben altre preoccupazioni e priorità. In periodi di crisi come questi si dovrebbe investire sui giovani, sulla cultura e sulla formazione, sulla ricerca, sulla green economy e sulle fonti di energia rinnovabile. Siamo o non siamo considerati “il paese del sole”? In pratica si dovrebbe investire sul futuro. Invece l’Italia continua a veleggiare sempre tra gli ultimi posti nella classifica degli investimenti in ricerca tra i paesi cosiddetti sviluppati. Il sistema universitario è attualmente in gravi difficoltà economiche e più di qualche università italiana sta rischiando la bancarotta a causa del drastico taglio governativo dei fondi per il funzionamento ordinario. Ma in generale è buona parte del sistema Italia, che non ha saputo o voluto investire sull’innovazione e sul futuro e ora ne stiamo vedendo le tragiche conseguenze nella chiusura di moltissime realtà industriali. Anche nell’università si fatica a superare la mentalità dei privilegi e degli interessi personali. Mi ritengo fortunato di far parte di un piccolo ma vivace ateneo, come quello di Camerino. Lassù viviamo in una sorta di laboratorio in cui vengono sperimentate e spesso anticipate quelle che diventeranno poi leggi o comunque tendenze per tutta l’università italiana. Come ti accennavo prima, se l’Italia ha ancora una speranza di avere un domani, è anche grazie ai sacrifici e alla passione di tanti giovani ricercatori, quasi sempre, come nel mio caso, precari.”

“Di fronte a ciò, qual è il sentimento che primeggia in te? Sconforto o voglia di combattere?”

“Devo dirti che è dura! E’ faticoso lavorare senza molte sicurezze per il futuro e contando su uno stipendio che in Europa sarebbe attribuito a malapena ad un giovane diplomato. Ma io vado avanti! D’altra parte nel calcio mi sono sempre piaciuti i gregari e i “guerrieri” che si sacrificano per la squadra, l’Italia non avrebbe vinto i mondiali di calcio senza i Marini, gli Oriali, i Gentile, i Bergomi, i Graziani, i Cannavaro, i Gattuso, i Materazzi, i Perrotta… Grazie a costoro, le squadre diventano delle macchine perfette e possono così esprimersi al meglio anche i Bruno Conti e i Paolo Rossi, i Del Piero e i Totti…”

“Permettimi una domanda personale. L’amore ti ha già portato all’estero. Hai mai pensato di lasciare anche professionalmente l’Italia?”

“Si, la tentazione è sempre forte. In Italia ci sono però anche tante cose belle che all’estero ci invidiano. Ad esempio il sole, il cibo, l’arte, le montagne ed il mare, ma anche la genuinità e la solidarietà di tante persone. Purtroppo questi ultimi valori si notano sempre meno nelle nuove generazioni. Il futuro del nostro paese è davvero un gran punto di domanda, anche se, storicamente, nei momenti più duri, l’Italia ha sempre dimostrato di cavarsela.”

“Ma alla fine qual è il sogno di Nico? Qual è il sogno di quel ragazzo che con tutta la sua passione organizzava quelle memorabili partite sulle spiagge?”

“Il mio sogno è quello di essere un giorno finalmente ripagato dei molti sacrifici fatti in tutti questi anni, di svolgere sempre un lavoro che possa essere utile alla scienza e al buon progresso della società, sicuramente affrontando anche partite impegnative, ad esempio alla scoperta dei programmi che fanno “funzionare” gli organismi viventi. Tutto questo vorrei che avvenisse possibilmente in un paese bello, pulito, onesto, sano con mari blu, aria pulita, montagne innevate, cibo genuino, tanto verde e tanti boschi, soprattutto un paese con tanto sole…”

La voce degli altoparlanti avvisa dell’arrivo dell’ultimo treno, per oggi, di Nicola Cannata. Tra poco sarà a destinazione. Ad accoglierlo ci saranno le speranze dei suoi studenti e le competenze dei suoi colleghi. Chissà se ancora una volta Nico troverà l’entusiasmo per tracciare le righe per questa nuova partita. Chissà se la grandezza delle idee dell’uomo avranno la meglio sulla mediocrità della politica. Chissà.

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