Carlo & Gabri: una coppia creativa

I due cuori ci sono. La capanna pure. Ma c’è dell’altro: tanta creatività.

Lui, designer di professione, con radici legate alla terra mantovana, quella vicina al fiume Po. Un fiume che oltre ad essere il più lungo d’Italia, diffonde con il suo lento fluire pensieri e riflessioni negli abitanti adiacenti al suo naturale percorso.

Lei, ceramista per passione, dal forte temperamento, forse in parte dovuto alle sue origini anglosassoni ed una notevole predisposizione alle scoperte, allo stupore d’imparare e riuscire a creare qualcosa con le proprie mani.

Carlo & Gabri - Pamukkale Turchia


L’elemento che li accomuna forse è proprio questo: la curiosità. Sapere ancora emozionarsi di fronte ad un disegno, un bozzetto, un semplice tratto lasciato dalla matita. Proprio come i bambini, quando prendono in mano i colori ed iniziano una loro personale opera, senza porsi limiti sulla fattibilità della cose ed entusiasmandosi per quello che stanno facendo.

E’ una magia. Una dotazione naturale che tutti abbiamo a disposizione, ma che per i più viene dimenticata o rimossa.

Era da un po’ che volevo rincontrare Carlo Tinti e Gabriella Scarpa, non tanto per fargli un’intervista, ma per conversare piacevolmente insieme. Farmi raccontare a che punto sono i loro progetti. Verificare con mano se quell’energia, che traspare dalle loro opere, è ancora forte e vitale.

Li raggiungo nella loro “capanna”. Uno splendido loft ricavato all’interno di un magazzino storico in terra ferma veneziana, a dieci minuti da Piazzale Roma. Un contesto suggestivo e affascinante che sicuramente sollecita la loro fervida creatività.

“Gabri ci raggiungerà a breve… in questi giorni si sta dedicando anima e cuore ad un nuovo progetto che poi ti racconterà” mi dice Carlo, accogliendomi a braccia aperte, con il suo modo informale di mettere a proprio agio tutte le persone che incontra.

Ci accomodiamo nell’angolo predisposto a cucina della casa, anche se è limitativo porre una suddivisone degli spazi in un open space. Prendiamo comodamente un caffè con delle originali tazzine, realizzate proprio da Gabri, che mi aveva presentato durante uno degli ultimi incontri.

“Allora Carlo, l’ultima volta che ci siamo visti, c’eravamo lasciati con una tua riflessione, un po’ amara, che vogliono trasformare anche il mobile, l’arredamento, in una moda. Sei ancora della stessa idea?”

“Temo di sì, anzi oramai fa parte di un fenomeno di diversificazione delle brands sartoriali. Il vero design, però non è moda, ma etica. La forma deve andare di pari passo con la funzione, quindi la qualità e la durata. I fidanzati passano, gli amici, rimangono. Ecco mi piace pensare ai mobili come a degli amici che ti accompagnano per tutta la vita ”

“Ma dove sta il limite tra proporre cose nuove, originali, “di design” e il seguire la moda o addirittura imporre una moda? Ad esempio i tuoi oggetti da dove nascono, qual è lo stimolo principale che ti fa pensare alla realizzazione di qualcosa di diverso?”

“Prima di tutto parto da un’esigenza, o una domanda : . Se la risposta è SI! Allora procedo con il percorso, che a differenza dell’artista vede molti più attori attorno al processo di realizzazione.”

Il portacandele Bicero, realizzato da Carlo Tinti

“Riesci a descrivermi sinteticamente quali sono i passaggi che portano dall’idea alla sua realizzazione? Fino dove riesci a seguire, ad accompagnare le tue “creature”? Inoltre credo che ogni cosa che realizzi per te sia importante e come per i figli non è possibile dire a chi vuoi più bene. Però qual è stato l’oggetto che hai ideato che ti ha dato maggiore soddisfazione e perché?”

“In genere si parte dallo schizzo, poi lo si verifica con un modellino, di conseguenza si discute con l’azienda, con cui si sta collaborando. Se l’impressione è positiva si parte con la fase della prototipazione. Se il prototipo funziona ed è gia ad un livello accettabile di finitura, l’azienda lo propone in fiera. Se il riscontro con i clienti è OK, si parte con la produzione.

Il portacandele Bicero, è il pezzo a cui sono più affezionato. Si tratta di un tubo industriale di vetro “Pyrex” quello che usano nei laboratori di chimica, che viene piegato a U, scaldandolo e forgiandolo sapienti mani artigianali.

In questo modo ho la sintesi tra industria (testa) e artigiano (cuore). La forma che abbiamo ottenuto è veramente molto poetica.”

“Senti e cosa mi dici di Carpet Diem? Qualche giorno fa mi è arrivato il tuo invito che esponevi presso la Maison & Object di Parigi un tuo pezzo. Di cosa si tratta?”

“Si tratta di una nuova collezione di tappeti che ho progettato per Casamania. Alla fiera di Parigi è stato presentato solo il primo, la famiglia completa sarà a Milano per il Design Week ad aprile 2010. Il tappeto è la metafora di un racconto fatto però di fili che si intrecciano che compongono una trama, un racconto grafico. ”

“Carlo oltre alla tua attività di designer so che ti stai confrontando anche su altri fronti. Al telefono mi dicevi che stanno per ripartire dei tuoi corsi presso il carcere di Venezia. Cosa rappresenta per te un’esperienza di questo tipo?”

“Ho l’esigenza di comprendere il mondo che mi sta attorno, mi affascinano soprattutto le storie border line. Tutto è nato da un incontro con uno psicologo del comune di Venezia, Claudio Vio. Nel modo più spontaneo e naturale possibile è nata questa collaborazione. Oramai è già dal 2006 che organizziamo laboratori di disegno, pittura, nel 2009 siamo riusciti anche a coinvolgere la Gabri, organizzando un laboratorio di ceramica. I ragazzi erano felicissimi, ma la magia più bella è l’energia che ti regalano loro, paradossalmente, abbiamo più soddisfazione con dei “delinquenti” che con le persone normali. Ti apprezzano di più, forse perché non li giudichiamo ma cerchiamo semplicemente di trasmettere dell’energia positiva che li porti fuori dall’incubo del carcere, almeno per 2 ore alla settimana. Quando usciamo dai laboratori siamo carichi di emozioni positive. Tutto ciò si trasmette di conseguenza anche nella vita e nella professione.”

“Invece ora parlami di Mestre Sweet City. A che punto è questo progetto? Quando me ne avevi parlato circa un anno fa, era ancora in fase embrionale, ma mi aveva subito colpito. Anzi forse ti avevo addirittura detto che se fossi stato un investitore istituzionale, un’azienda che cerca modi differenti per comunicare, non ci avrei pensato due volte a finanziare questo progetto. Come sta andando?”

“Vedo che hai una buona memoria. Assieme ad Alvise e Alessandro, due architetti mestrini, stiamo portando avanti quello che molte persone, anche inconsciamente si chiedono nei confronti del proprio ambiente urbano; cosa possiamo fare per la nostra città? mestresweetcity.org è la nostra palestra del dopo lavoro. La missione che ci siamo prefissati è di rigenerare le zone abbandonate della città. possibilmente in modo omeopatico, non troppo invasivo e con un budget adeguato ai tempi, ovvero massima resa e minima spesa.”

“Infine se non sbaglio c’è un’iniziativa collegata al tuo vecchio Istituto d’Arte di Castelmassa, il luogo che ti ha visto crescere, creativamente parlando. Cos’è l’attività relativa all’Anniversary dei 30 anni?”

“Non so ancora bene come porteremo avanti questo ultimo progetto, mi sembra che si tratti di una sorta di Remeber Yesterday, dove i vecchi compagni della quinta del 1985 cercheranno di manifestare attraverso un video riassuntivo la nostra esperienza e le caratteristiche della scuola stessa, cercando di non dimenticarci di far dialogare l’istituto d’arte con il territorio polesano. Il risultato verrà presentato nel nuovo spazio multiculturale di Castelmassa, all’epoca teatro di un murales eseguito dagli alunni, tra i quali il sottoscritto della mitica 5° che ti dicevo. Mai dimenticarsi da dove veniamo! ”

La foglia, una delle opere realizzate da Gabriella Scarpa

Intanto arriva anche la Gabri. E’ raggiante. Nel suo sguardo s’intravede la gioia di qualcuno che ha appena fatto una sua piccola conquista. Non le lascio nemmeno il tempo di togliersi la giacca che inevitabilmente le chiedo a cosa è dovuta tale euforia.

“Sai sto aprendo il mio studio finalmente! E’ vero che da qualche anno lavoro già in casa, ma mi si è presentata l’occasione di allestire uno studio fuori e ho accettato pensando in questo modo di poter dedicare un po’ più di tempo alla mia passione. Questo spazio è fantastico perché è collocato all’interno di un vecchio forte ed è immerso nel verde. Perfetto per poter finalmente lavorare un po’ anche con la techica raku che deve essere fatta En Plein Air”.

“Ma questa associazione, questo laboratorio, lo vedi un punto di arrivo oppure è solo una tappa intermedia per qualcosa di più grande? Quali sono le tue aspettative a riguardo?”

“Ottima domanda! Questo laboratorio è infatti un’associazione di cerativi che permette a me ed alle mie socie di sviluppare una passione, quella appunto della ceramica, ma che mette anche a disposizione di chiunque voglia in un qualche modo fare arte, di avere un luogo nel quale presentarsi attraverso mostre, corsi, performance, incontri. La Fata Concreta è pensata come luogo fatato che come per magia riesce a concretizzare i sogni degli artisti che qui, con estrema semplicità e libertà, possano dare spessore alla propria creatività.

Come vedi per me è un punto d’arrivo anche se essendo ancora in fase embrionale deve diventare qualcosa di più grande. ”

“Gabri, ma come ci si avvicina alla scultura, al mondo della ceramica? Diciamo pure che non è una delle prime passioni che vengono in mente ad una persona. Com’è avvenuto il tuo “primo incontro”?”

“Mah! Non ricordo come sia avvenuto il mio primo incontro con la scultura, immagino che sia sempre stata una necessità per me quella di divertirmi utilizzando dei materiali e creandone qualcosa. Già da piccola preferivo creare delle barchette con i gusci delle noci piuttosto che giocare con le bambole.

Non mi definirei però una scultrice, mi sento di più un’artigiana, una ceramista che non ama seguire le tecniche e l’estetica della tradizione, preferisco sperimentare e divertirmi con le forme e con i colori creando oggetti che partono dallo studio del movimento delle forme e delle creature della natura.

Le passioni non ti vengono in mente, partono piuttosto dal tuo corpo e nel mio caso le mani hanno sentito il bisogno di entrare in contatto con l’argilla e di imparare a conoscerla e ad avere un rapporto con lei.”

“Quanto è vero che parte delle tue realizzazioni arrivano anche da errori? Cioè sperimentando tecniche e forme nuove ti sei ritrovata su percorsi alternativi di scultura. Se fosse così, mi confermeresti l’importanza della rivalutazione dell’errore.”

“L’errore è fondamentale nella lavorazione e nella decorazione della ceramica, nel modo in cui io mi metto in gioco in questo mondo io vivo di errori e sono a loro molto grata. Mi spiego meglio, io lavoro in modo empirico, non provengo da una scuola di ceramica e tutto ciò che so lo devo al tempo che ho trascorso con persone che hanno la mia stessa passione, agli scambi di esperienze e quindi di errori, quindi spesso alla scoperta di nuove tecniche di decorazione provenienti dai nostri errori. Ciò che si ottiene dalla sperimentazione non è sempre bello, ma è sempre utile ed eventualmente utilizzabile diversamente ed in altri momenti allo scopo di ottenere qualcosa di bello.”

“E alla tecnica raku come ti sei avvicinata?”

“La tecnica raku è un mio nuovo amore, da molto tempo desideravo avvicinarmi a questa tecnica ma il momento è arrivato solo quando ho lasciato Venezia. Questa tecnica richiede spazi aperti che permettano l’estrazione di pezzi incandescenti dal forno ed a volte la loro immersione in materiali combustibili come la segatura, e poi in acqua, queste operazioni possono sprigionare molto fumo e gas tossici dovuti all’utilizzo di ossidi metallici per le colorazioni. A Venezia tutto ciò non è impossibile, ma è molto complicato, quindi ho preferito lavorare con la maiolica, mezza maiolica, ingobbi e lustri se volevo ottenere effetti metallici. L’effetto metallico e il craquelè (superficie dello smalto crepata) però mi hanno sempre affascinata e non c’è tecnica migliore del raku per ottenere tali effetti. E’ vero però che è anche la filosofia che sta alla base di questa tecnica giapponese ad essere in sintonia con me, ma per non annoiarti troppo ti dico solo due parole, immediatezza e spontaneità”

“Invece cosa mi dici degli effetti terapeutici dell’argilla. Leggende o c’è qualcosa di vero? Quali sono le tue percezioni mentre la lavori?”
“Io sono una vera sostenitrice degli effetti terapeutici dell’argilla, non a caso tengo un laboratorio di ceramica in un carcere.

C’è anche da dire che l’argilla è ampiamente utilizzata nella medicina, gli impacchi di argilla vengono spesso prescritti dai medici per sfiammare parti del corpo infiammate, ma l’argilla si può anche bere (non è esattamente gradevole) per problemi gastrici o intestinali.

L’effetto su di me è simile a quello di un incantesimo, mi fa completamente perdere la percezione del tempo, posso lavorare per ore e pensare che siano passati alcuni minuti, devo rispettare i suoi tempi quindi a volte torno sui miei pezzi in piena notte prima che siano troppo asciutti.

Lavorando l’argilla mi capita spesso di sentire una sorta di fluido uscire dalle mie dita, è una sensazione moto particolare simile a quella che si prova accarezzando l’acqua del mare. ”

Mentre Gabri parla è un piacere vedere lo sguardo di Carlo su di lei. Chissà quando incide il legame di amore con quello che stanno facendo. A questo punto non mi rimane che elegantemente verificarlo.

“Ma ditemi c’è uno scambio, un confronto di idee nei vostri lavori, oppure preferite lasciare al di fuori quello che fate dalla vostra relazione? E poi un’altra cosa, chi dei due ha mai ispirato l’altro?”

Si guardano e dopo una risata esordisce CARLO: “Già , il nostro momento di osmosi totale è nel viaggiare, che è un atto creativo, in cui i nostri corpi e il nostro spirito raggiungono la catarsi, ovvero entrano in una dimensione quasi metafisica. La Gabri è quella che organizza le mete, io adoro seguire i suoi itinerari alternati tra mare e presenze archeologiche. Questi sono i veri nostri momenti magici dove torniamo sempre con taccuini pieni di emozioni e progetti. La foto che ti abbiamo consegnato ci ritrae a Pamukkale in Turchia, la montagna sullo sfondo è di calcare e al momento del tramonto si colora di arancione. Suggerisco per chi può, almeno una volta nella vita di andarci”.

GABRI aggiunge: “Noi parliamo sempre delle nostre passioni e ci confrontiamo, credo che questo ci sia reciprocamente molto utile anche se spesso abbiamo punti di vista opposti. Carlo è un designer e guarda prima alla funzionalità delle cose, io creo oggetti che vengono dal mio cuore e dalle mie mani e trasmettono ciò che è rimasto dentro di me nell’osservazione spesso della natura, come il movimento delle foglie o delle meduse e ciò ha ben poco di funzionale.”

Prima di concludere, guardando l’orologio alla parete, Gabri mi dice: “E’ quasi l’una ti fermi da noi a pranzo?”. Non mi faccio desiderare, anche perché so le capacità di Gabri anche ai fornelli. E poi è un buon motivo per continuare la nostra chiacchierata. Loro sono curiosi di sapere qualcosa di me, di come sta andando il mio viaggio di scrittura. E poi da lì chissà di quante altre cose parleremo. Chissà magari un giorno pubblicherò pure il backstage di questi meravigliosi incontri. Anzi forse no, è giusto mantenere un alone di magia attorno ad essi.

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