Raccontare è l’unico modo per salvarsi – Marco Ballestracci

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Marco Ballestracci accompagnato alla chitarra da Massimo Zemolin

“… sono una persona fortunata… quello che sognavo da bambino si è realizzato… sognavo di fare lo speaker radiofonico e l’ho fatto… sognavo di viaggiare con la musica e ho iniziato a fare blues e con una band ho girato dentro e fuori l’Italia… sognavo di mettere su carta i miei racconti e ho iniziato a scrivere dei libri…” breve pausa e poi sorridendo riprende “… sognavo di avere un figlio biondo con gli occhi azzurri che si chiami Emanuele e l’ho avuto!”.

Siamo a Castelfranco Veneto, nel cuore della provincia di Treviso. Qui dove la dedizione al lavoro è elevata e l’attenzione alla produttività pure, c’è chi decide che i sogni non sono solo da inseguire, ma anche da realizzare.

A parlare è Marco Ballestracci, classe ’62, che dopo essersi laureato in Economia e Commercio e aver fatto il responsabile finanziario, decide che non è più il caso di trascorrere metà della giornata lavorativa alla gestione delle relazioni con persone poco affini a lui e cambia la sua vita.

Si ricorda invece delle persone con le quali era stato bene da ragazzo e con loro accetta di gestire la birreria Casa Rossa sempre a Castelfranco. “… ho preferito andare a lavorare con delle persone che mi piacciono… con cui sto bene… delle quali posso fidarmi e non devo perdere tempo a guardarmi alle spalle”.

Parlando con Marco la sensazione è quella di trovarmi di fronte ad un esemplare ormai raro di umanità. E’ il prototipo positivo di questo territorio, dove impegno, sudore e caparbietà possono portare a realizzare cose inimmaginabili. Il tutto però nel rispetto degli altri. Di chi ti sta attorno e ti stima. Ma anche di chi non condivide quello che fai o comunque non va oltre al proprio essere.

Marco è un po’ come quei personaggi che rimangono ben ancorati alle proprie origini, ma allo stesso tempo questo non li limita nella loro evoluzione. Anzi sono stimolati al rinnovamento, senza perdere però quei valori che sono ben impressi nella loro memoria.

In alcuni momenti sembra uscito da qualche film neorealista. In altri appare come un Guccini nostrano. Addirittura mi saltano alla mente le atmosfere della provincia di metà anni ’70, ben rappresentate da Ligabue in Radiofreccia. Marco è tutto questo, ma anche molto di più. Non è possibile etichettarlo, perché comunque con il suo naturale modo di fare è solo ed esclusivamente Marco Ballestracci.

La sua esistenza è stata, e lo è tuttora, una concatenazione fortuita di eventi. Da quando appunto decide di fare lo speaker radiofonico. Sono i primi periodi delle radio private e lui è l’emblema di una passione. Quella del parlare. Quella di comunicare, sfruttando la magia di un mezzo come la radio che ti dà la possibilità di mischiare parole e musica. Un amore per questo strumento, che lo porta a fare dirette estenuanti con orari assurdi, ma non per lui.

Ed è proprio con la radio che inizia a scrivere. Scrive di musica. Prende i primi contatti con riviste di blues. Per lui che è anche musicista di armonica a bocca e cantante, il passaggio al live è quasi naturale.

Lascia la radio e inizia a girare con la sua band. Insieme a loro partecipa ad importanti festival di musica blues all’estero, ma allo stesso tempo non c’è diniego a serate in qualche pub della provincia. Perché comunque lui arriva da lì e sa cosa vuol dire dispensare musica anche in piccole realtà locali. In quel periodo non conta tanto dove si esibisce, l’importante è avere un pubblico, qualcuno da allietare con la propria musica.

Mentre Marco mi racconta di questi passaggi da un mestiere all’altro mi dice: “… abbiamo una vita a disposizione per imparare il più possibile… quando faccio qualcosa… ed è qui la concatenazione… una concatenazione comunque cercata… cerco di fare qualcosa da imparare… per apprendere qualcosa di nuovo… questo è il mio atteggiamento di vita”.

Con questo atteggiamento inizia anche il suo percorso letterario. Scrive un primo libro dal titolo Il Compagno di Viaggio (nove racconti in blues). Ne scrive un altro Blues Padano, che poeticamente ritrae le storie di quelle band che sorgono sulla via Emilia. Un libro questo così vero e umano, che viene citato anche in un articolo del National Geographic che parla del blues in Italia.

Ma Marco non si ferma qui. Sulla scia dei suoi ricordi d’infanzia, scrive delle vere e proprie dediche d’affetto allo sport – “… con lo sport  in bianco e nero… cose che succedevano solo la domenica… e le magliette erano talmente strette che al primo sudore diventavano un tutt’uno con la pelle…”. Ed è così che pubblica A Pedate con il quale vince la 46° edizione del Premio Selezione Bancarella Sport e L’ombra del Cannibale, in onore del grande Eddy Merckx.

Proprio in questi giorni sta per uscire il suo nuovo lavoro. Il titolo è La Storia Balorda, ed ancora una volta ci sono tutti i presupposti affinché le parole di Marco, le storie di Marco, ci portino in un viaggio tra storia e finzione ai confini però delle emozioni.

In tutto questo tourbillon creativo, Marco riprogetta anche il suo modo di stare su un palco: “… ad un certo punto ho deciso di cambiare il punto di riferimento… è per questo che ho introdotto le parole nei miei concerti… parole non solo cantate, ma parlate…”. Ora infatti che per scelta ha deciso di ridurre il numero di date a suonare, ha introdotto anche un nuovo modo di fare le sue serate.

“… lo scrivere e il parlare sono facilmente comprensibili a tutti… mentre con la musica il DO è DO, ma può essere interpretato in maniera diversa in chi ascolta… è per questo che nei miei nuovi spettacoli accompagnato alla chitarra da Massimo Zemolin… c’è un alternarsi di parole e suoni… nell’intento di raccontare delle storie…”.

Quello di Marco non è uno spettacolo standard. E’ uno spettacolo a cui forse non siamo più abituati ad assistere. E’ uno spettacolo che richiede l’ascolto. E’ uno spettacolo che coinvolge all’ascolto. E’ un modo ancora una volta nuovo per comunicare, perché come lo stesso Marco mi dice: “… io ho come esigenza quella di comunicare… anche perché raccontare è l’unico modo per salvarsi”.

La storia di Marco potrebbe essere paragonata quasi ad una favola. Nato e vissuto a Castelfranco Veneto, figlio di operai e che dalla provincia arriva al Salone del Libro di Torino. La sua stessa vita è un racconto. Ricorda ancora con emozione quando la madre gli chiedeva perché perdeva tempo, quando voleva fare la radio, ma allo stesso tempo nelle sue parole c’era tutto l’amore e l’orgoglio per lui come figlio.

Allo stesso tempo mi parla con gioia del suo essere padre oggi. Di come il suo amore non voglia condizionare le scelte di un figlio “che faccia quello che gli piaccia… quello che lo farà stare bene…”, quasi mi sussurra.

E prima di concludere mi dice: “… sono contento dei miei anni… perché non ho invidie… non ho rimpianti… e c’è sempre stata e sempre ci sarà la musica che mi gira intorno…”.

Siamo ai saluti, ma non potevamo che finire in musica, infatti mi domanda: “Conosci i Tinariwen? Ascolta Aman Iman… e poi mi saprai dire”.

E con questo consiglio, dato da chi di musica ne fa un elemento di costante presenza della sua vita, non mi rimane che salutare Marco, magari chissà ci rincontreremo in qualche suo spettacolo in giro, oppure anche per bere una birra alla sua Casa Rossa mentre ci racconteremo nuove storie.

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