Il ricercatore di geografie umane – Pino Petruzzelli

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Quando lo raggiungo telefonicamente sento in sottofondo un suono ben riconoscibile. Piccole onde che si adagiano delicatamente sulla battigia. Lui è lì a pochi metri dal mare. Con un copione in mano sta ripassando lo spettacolo che sta portando in giro per l’Italia o forse, sta solo ammirando la bellezza del paesaggio davanti a sé.

Siamo a Varazze, per la precisione a Piani d’Invrea, luogo di rifugio o meglio di riflessione per Pino Petruzzelli. Per lui pugliese d’origine, nato a Brindisi, trasferitosi a Bari, poi ad Ancona per giungere infine a Genova, l’elemento marino, tolta la parentesi romana per gli studi, è una costante. Un elemento di vita.

Ma sarebbe limitante confinare Pino in un singolo luogo. Lui ancor prima di essere un artista è un viaggiatore. Ciò che lo spinge a muoversi è la curiosità. La curiosità di fare nuovi incontri, visto che come si definisce lui è “un appassionato ricercatore di geografie umane”.

Pino è sicuramente quel genere di persone (ndr mi ci metto in mezzo pure io) per le quali, arrivati in una nuova città, l’attrazione verso chi abita quelle terre e l’attrattiva verso l’elemento umano, prevalgono sugli aspetti architettonici del luogo stesso.

“… ho sempre amato cercare in prima persona… fermarmi a parlare con la gente… il tutto in modo spontaneo, naturale… capita che mi fermi a parlare con una persona e poi di ritrovarmi a pranzo con lei per continuare questa conoscenza…” mi racconta Pino. Già perché per lui conoscere significa entrare in sintonia con l’altro. Ascoltare. E quale momento migliore della condivisione di un pasto, per stare insieme, dialogare.

“… la scrittura di questi miei incontri avviene solo in un secondo momento… prima c’è l’ascolto… individuale… con una singola persona… concentrarsi su di essa… prestare attenzione… capire… soprattutto non avere fretta… lasciare che le cose accadano… anche ponendo domande apparentemente banali… sempre con quella propensione alla scoperta che può avere un bambino…” mi dice con tono pacato e rilassato.

Proprio così. Mantenere quello stupore, quell’innocenza conoscitiva, prerogativa dei bambini. Per conoscere gli altri occorre prima eliminare gli stereotipi e i preconcetti che si sono sedimentati in noi a causa di una non conoscenza. Di una conoscenza “dello sentito dire”.

Pino mi fa un esempio a riguardo: “… andando in Marocco mi stupivo che molti bevessero il tè… poi chiedendo, ascoltando… una persona mi ha detto che il Marocco produceva molto zucchero che vendeva al Regno Unito, il quale pagava loro in tè… il tè insieme all’argenteria rappresentava moneta di scambio… ma poi successe un altro fatto… che un gruppo di abitanti del Marocco si trasferì a Manchester e da lì iniziò a produrre argenteria, che poi rivendevano agli stessi concittadini…”.

Al di là di questo aneddoto, è affascinante come racconta le storie dei suoi incontri Pino. Lui propone. Senza artifizi interpretavi personali. Ne ho riscontro dopo aver letto il suo nuovo libro dal titolo Gli Ultimi, dove raccoglie i pensieri di dodici persone che ha incontrato nei suoi viaggi. Una prima parte dedicata ad incontri fatti all’estero come Marocco, Albania, Israele e Palestina e una seconda parte fatta d’incontri avvenuti in Italia.

Gli Ultimi di Pino Petruzzelli non sono da intendere come poveri, nulllatenenti. I suoi ultimi sono le ultime persone belle – “… sono quelle persone che in situazioni di difficoltà riescono a ricominciare… riescono a superare una realtà che li vorrebbe vittime sacrificali… reagiscono con azioni, con la forza della speranza…”.

Ed è attraverso questo filo conduttore che Pino riesce ad accompagnare il lettore in storie diverse, ma accomunate da una grande forza, una grande energia.

Proprio su questo punto si apre un piacevole confronto: “… sai la realtà se la tocchi con mano è umana… purtroppo però ci stanno abituando attraverso i mezzi di comunicazione a vedere una versione della realtà… che spesso è camuffata… oramai anche la povertà vista attraverso la televisione è una realtà virtuale… tu puoi discutere quello che vuoi, ma se vedi una persona che affoga intervieni… sta qui la differenza… il problema non sono i clandestini, gli zingari… ma quello di capire…”.

E’ chiaro l’approccio di Pino. E’ l’approccio di colui che di fronte a situazioni di difficoltà cerca di andare in profondità delle cose. Senza abbattersi e nella convinzione che si possano cambiare determinate situazioni. Lo fa anche ripercorrendo la nostra storia, ridando linfa alla nostra memoria, perché proprio lì si possono ritrovare le indicazioni per una visione più ampia del nostro vivere.

“… non ho più voglia di sentire quel becero linguaggio razzistico… perciò preferisco riprendere la nostra storia… ricominciare da ciò che hanno vissuto i nostri nonni… persone che si sono sacrificate… e queste loro storie ci permetteranno di vivere meglio il resto del nostro presente… sono queste le testimonianze di cui mi faccio portavoce… persone che ancora oggi credono in qualcosa per andare avanti… ” con tono di speranza mi dice Pino al telefono e poi conclude: “… io me ne frego di quelli che dicono che le cose vanno così… io non ci sto… meglio illusi che cinici”.

Come gli ultimi che racconta nel suo libro “… persone che vivono in modo coerente con le parole e i loro pensieri…”, Pino Petruzzelli è un uomo che cerca di fare cose non tanto diverse da quello che pensa e dice. Sarà per questo che la prefazione del libro è di don Andrea Gallo, un amico, una forte stima reciproca che li unisce e sicuramente un modus vivendi simile.

La particolarità di Pino forse sta nella sperimentazione. Infatti alla mia domanda di cosa si sente di essere, mi risponde: “… fare l’attore è una cosa splendida… ancor più quando ho la possibilità di scrivere i testi che rappresento… diciamo che mi piace sperimentare… mi piacerebbe conoscere tutta la gente del mondo… mi piacerebbe conoscere tutti i posti del mondo…”.

Nel frattempo partendo da Genova dove dirige il Centro Teatro Ipotesi, sta portando in giro per l’Italia i suoi spettacoli. ‘La Storia di Tönle’ omaggiando Mario Rigoni Stern oppure ‘Di uomini e di vini’, narrando le storie che ci sono dietro una bottiglia di vino o ancora ‘Non chiamarmi zingaro’, opera letteraria pubblicata nel 2008, che anch’essa poi ha avuto una trasposizione teatrale.

Prima di lasciarci riascolto quel suono del mare. E’ un suono di speranza. Di fiducia. E’ la musica che accompagna Pino. Perché come lui stesso mi dice: “… la cosa più bella nella vita sta nel procedere… come nel teatro… è meglio vivere che arrivare alla conclusione della vita”.

Buon viaggio Pino e spero di rincontrarti in questo tuo cammino di esistenza.

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