Gli Italiani di Frontiera di Roberto Bonzio

La prima volta che incontro Roberto Bonzio è a Milano. A due passi dal Duomo ci prendiamo un caffè insieme. L’autunno è arrivato, ma un premuroso sole diffonde energia sulla città. Sui presenti.

Roberto Bonzio con la sua famiglia prima della partenza per gli States - l'inizio della grande avventura di Italiani di Frontiera

Seduti sul plateatico esterno di un bar, Roberto inizia a raccontarmi del suo progetto. Per lui raccontare è la normalità. Non solo perché è un cronista, ma proprio perché negli ultimi anni ha raccontato diverse storie. Federico, Paolo, Enrico, Marcello e così via. La lista è molto lunga. Ma chi sono tutte queste persone di cui Roberto Bonzio parla? Sono “Italiani” o per meglio dire “Italiani di Frontiera”. Persone che oltreoceano, nella terra del sogno americano, hanno seguito il loro spirito d’impresa, le loro intuizioni.

Per far questo Roberto nel gennaio del 2008, lascia gli uffici della redazione Reuters per la quale lavora e si trasferisce con l’intera famiglia per sei mesi negli States. Roberto ha una missione. Non vuole raccontare la storia di cervelli in fuga. Roberto vuole raccontare la storia di talenti italiani, che nel nuovo mondo, grazie alle loro capacità, al loro modo di pensare, sono naturalmente emersi. Hanno potuto emergere perché erano privi di impedimenti sociali e culturali, che in patria gli avrebbero rallentato se non impedito questa loro crescita.

Per capire meglio l’Italia è stato necessario guardarla da fuori… solo così ho avuto conferma del patrimonio intellettuale immenso del quale siamo a disposizione… la forza degli italiani è quella di ragionare fuori degli schemi, modalità questa che in Italia spesso si vuole ingabbiare, mentre all’estero trova l’humus naturale per evolvere” mi dice Roberto guardandomi negli occhi. Poi continua “… ci sono dei meccanismi maledetti in Italia, come l’invidia ad esempio, che non permettono di innescare il circolo virtuoso del talento… talento che in Italia è ben presente”.

Queste storie raccontate da Roberto, questi modelli positivi da lui narrati, ora costituiscono un blog, una web tv, un libro a breve, una rappresentazione teatrale in un prossimo futuro e una serie di conferenze multimediali.

Ed è proprio in una di queste conferenze che lo ritrovo…

Paolo Privitera introduce Roberto Bonzio durante la presentazione di Italiani di Frontiera alla serata La filiera dell'Idea - Ph. by Alfredo Montresor

Siamo a Venezia. L’area è quello del parco scientifico VEGA. L’occasione il lancio di un magazine online dedicato all’imprenditoria innovativa e mentre in laguna c’è l’acqua alta, al di qua del Ponte della Libertà c’è l’adrenalina alta.

Già al suo arrivo, capisco che l’entusiasmo di quella giornata meneghina è intatto. Addirittura noto anche un po’ d’emozione in Roberto Bonzio. D’altronde per lui stasera significa anche ritornare a casa. Mestrino d’origine, figlio d’arte, visto che il padre Gibo è stato un grande cronista per il quotidiano Il Gazzettino, ove Roberto stesso ha esordito. Ad accoglierlo ci sono molti ospiti, ma anche tanti amici.

Il suo abbigliamento informale e lo zaino che lo accompagna, lo rendono un personaggio ancor più curioso. A metà strada tra un moderno Indiana Jones e un giovane avventuriero raccontato da Mark Twain.

Un veloce saluto e un caloroso benvenuto, poi lo lascio raggiungere la postazione dalla quale questa sera ci presenterà i suoi Italiani di Frontiera.

Sono le 22.30 circa quando dagli altoparlanti del locale sento partire una voce. E’ quella di Paolo Privitera, poco più trentenne talento imprenditoriale, che dopo aver vissuto per anni in Silicon Valley ora fa da ponte tra il modello start-up americano e la creatività italiana. E’ lui ad introdurre Roberto Bonzio.

Roberto Bonzio durante una delle sue presentazione di Italiani di Frontiera

E’ giunto il suo momento. Le sue parole sono sincopate. Sembrano quasi tenere il tempo del rullante di una batteria. La carica energetica di Roberto Bonzio è pazzesca. Quella che riesce a trasmettere è ancor maggiore. Non ci sono pause. Ci sono intervalli, quelli dei video che vengono proiettati, che alternano la voce di Roberto a quella dei protagonisti di Italiani di Frontiera.

Mi immergo nella storia di Federico Faggin e Roberto Crea, padri del microchip e dell’insulina sintetica. Sobbalzo ai racconti di Fabrizio Capobianco, fondatore di Funambol e Marco Marinucci, manager di Google. Mi appassiono alle divagazioni apparenti che fa Roberto. Cose diverse, ma alla fine non più di tanto.

Un racconto come lo stesso Roberto ha intitolato dal West al Web. E’ fantastica questa parafrasi per comprendere cosa gli italiani di ieri e quelli di oggi in America siano riusciti a fare.

Una presentazione immersiva. Suggestiva. Stimolante.
Da questi racconti si evince che ce la si può fare. Che è nostro dovere sradicare certi luoghi comuni, certi retaggi culturali, per dare spazio alle nostre capacità intellettive.

A presentazione conclusa ne approfitto per fare altre due parole con Roberto. Alla mia domanda su quale possa essere il possibile sviluppo, la prossima sfida di Italiani di Frontiera, lui mi risponde sorridendo, ma con la convinzione di chi ha già fatto il primo passo – “… lavorare su gli italiani di frontiera in Patria! E’ già da un po’ che ci lavoro e ho visto che si possono raccontare delle belle storie anche da qui…”.

A questo punto non mi rimane che salutarlo, non prima di avergli fatto l’imbocca al lupo per questo suo (nostro) nuovo cammino.

Poi lascio lo spazio che ha ospitato questo “giornalista curioso”. Nel lasciarlo però prima mi soffermo sugli sguardi dei presenti. Cerco di carpirne i pensieri dopo che anch’essi hanno assistito alla presentazione di Roberto Bonzio. Forse anche per qualcuno di loro qualcosa è scattato questa sera. Forse qualche remora mentale è stata superata. Domani che è un altro giorno, potrebbe essere veramente un nuovo giorno.

Continuo le mie riflessioni in questa umida notte veneziana. Al prossimo appuntamento con Roberto, perché so che ci sarà, voglio essere pronto. Pronto per raccontare che le cose possono cambiare. Se lo si vuole.

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