Sognando Firuzeh

Ho fatto un sogno.
Ho sognato di essere in un deserto. Il cielo era completamente stellato. Lo spazio attorno a me era infinito. Nel silenzio più completo, c’era solo il battito del mio cuore a scandire il tempo.

La cupola di Soltanieh in Iran Patrimonio dell'Umanità e dell'Unesco

In me vigeva una tranquillità unica. Non esisteva nessun senso di smarrimento. Anzi, nonostante fossi lì per la prima volta, quel luogo mi sembrava familiare.
Tutti i miei sensi erano amplificati, come se avessi preso piena conoscenza di me. Del mio corpo. Del mio spirito.

In lontananza vedevo una città. Dalla sagoma sembrava una città imperiale. Forse Baghdad. Chissà.

Mentre assaporavo tanta bellezza, da dietro una duna ho visto muoversi qualcosa. Si avvicinava a me immersa in un’aurea di luce, mentre un profumo di mandorla invadeva piacevolmente le mie narici.

Era una donna. Un abito blu le avvolgeva il corpo e la testa. Dal capo s’intravedeva solo una bionda chioma, mentre lo sguardo era ben visibile ed i suoi occhi azzurri brillavano nella notte del deserto. Diceva di chiamarsi Firuzeh e mi invitava a seguirla.

“Non ho mai sentito questo nome. Cosa significa?”
“… ma dunque non lo sai: turchese. Vedi il cielo, quando non è notte, è turchese e poi diventa cobalto. Vedi queste pietre che porto al collo, azzurre senza macchia? Sono delle turchesi. Vedi i miei occhi… un giorno sono rabbiosi, un altro dolcissimi, un altro tristi e velati per poi riaccendersi di voglia di vivere, ma sono sempre azzurro turchese. Mi chiamavano così un tempo che si perde nei tempi in un luogo magico come può esserlo il mausoleo di Soltanieh, vicino a Zanjan… in Iran”.

“Dove siamo? Dove vuoi portarmi”
“… lo vedi, siamo di fronte al mausoleo di cui ti dicevo. Vedi che splendore… senti in lontananza la musica persiana (violino, tombak e santour) dolce, per me rasserenante e amica, come poteva essere la voce del muezzin quando chiamava alla preghiera. Non guardarmi così: lo so che ora questa voce non piace, fa paura, ma non è così, o meglio non dovrebbe essere così. Sulle rive dell’Eufrate e Nassirya faceva paura, non piaceva e io non riuscivo a spiegare tante mie sensazioni. Ma forse avevano ragione loro: era prima del 12 novembre 2003… e dopo è stato peggio. Sai, ricordo che il giorno prima ero andata a parlare sotto un tendone in mezzo al deserto – di cose noiose, di storia – e uscendo guardai il cielo scuro con tante stelle e un vento che mi soffiava nelle orecchie… sei a casa Firuzeh, sei finalmente a casa qui nel deserto iracheno di Nassirya… che però non è stato benevolo con tutti… bando alle tristezze.
Ti voglio portare invece sulla Montagna Nera dell’altopiano persiano, a passare la notte in un caravanserraglio, oppure a Shemiran, al nord di Teheran, a prendere un tè o preferisci quello alla cannella in una stazione di rifornimento vicino Muscat. Non è elegante il posto, ma il tè è uno dei migliori che io abbia mai preso. O per caso vuoi andare vicino a Mogadiscio, con in mano un bicchiere di spremuta di pompelmo rosa. Non guardarmi così: i tempi sono cambiati, ma tu viaggi nella mia mente al riparo da ogni pericolo”.

“Da dove arrivi?”
“Non lo so nemmeno io, certo da questo mondo, ma quando, da quanto? Ecco sì, ora ricordo: recentemente ero in Oman, con il Genio, sai quello della Lampada, che con grande arroganza dice di essere il mio alter ego. Io veramente non gli ho dato questa autorizzazione, ma soprattutto nei wadi omaniti e nelle case locali volteggiava felice cinguettando come donnetta stupida in fondo mi son detta che potevo lasciargli credere tale follia… che è la mia follia. Ma non posso farne a meno perché debbo a lui i miei viaggi soprattutto dove lui è di casa, nel mondo incantato delle Mille e Una Notte, a Shiraz, a Ispahan; nel mondo tragicamente ferito delle rocce afgane…”.

“Ma quindi hai viaggiato molto? Cosa hai visto in tutti questi luoghi?”

(nella foto un wadi omanita)

“Cosa non ho visto, magari? Scherzavo. Ho visto i Masai correre sugli altopiani e gli uccelli tacere al tramonto in Etiopia. Ho visto i Dervisci danzare e la rivoluzione islamica nelle vie di Teheran.
Ho visto poesia, natura, la grandezza dell’essere umano e la sua meschinità; la povertà della tasca e dell’animo: la prima non mi fa paura, la seconda sì e terribilmente e ne sono stata spesso ferita. Ho visto anche la forza della vita, dell’amore inteso come dare agli altri anche senza ricevere. Non è facile credimi, ma alla fine almeno di rasserena”.

“Cosa stai cercando?”
Firuzeh: “La mia identità. Credevo di averla chiara e netta davanti a me, invece sono tutta un dubbio e non mi sento più a mio agio. Ho come compagno di viaggio il Genio e solo con lui ritrovo la serenità perduta andando per i miei deserti, quelli di ‘sabbia’ cercando per quel che posso di evitare quelli dell’anima”.

“Ma non sei mai stata assalita dal dubbio che la felicità non possa esistere?”
“Sempre!”.

“Tu mi parli di amore, di gioia di vivere. Ma nei tuoi viaggi hai visto anche il dolore, la morte, la paura?”
“Ho visto Lei, in faccia, l’inflessibile Signora, che ci amministra, che non ha compassione per nessuno. Sai: Lei decide ‘quando’; una volta mi è stata vicina, ma non mi ha voluto ed io lì invece avrei voluto essere accettata e terminare di soffrire. Adesso… non so dirti. Che ti posso confessare? Forse che in ognuno di noi c’è molta forza, anche se non lo sappiamo. Che bisogna trovare la forza per rialzarsi. Ecco dove l’amore, inteso in senso lato, aiuta a dare e a ricevere. Non è facile, è molto faticoso…”.

“Tu credi che alla fine l’amore possa sconfiggere ogni male?”
“Purtroppo… no, però aiuta a vivere”.

Arriviamo alle soglie della città. Ci fermiamo davanti ad un grande portone intarsiato d’oro con delle pietre preziose incastonate.

“Ora devo andare. Devi continuare da solo il viaggio! Ma non dimenticare: di tanto in tanto chiedi al grande musicista persiano, il Maestro Paivar di accompagnarti con brani di musica del suo santoor… vedrai quanta pace scenderà nella tua mente…”.

“E tu dove andrai?”
“Dove un tramonto, un deserto, un cielo mi diano gioia e serenità… ti lascio perché è soprattutto con te stesso che devi fare questo viaggio, ma ti dico: arrivederci”.

Mi sveglio. Penso ancora al sogno appena fatto.
Mi preparo, faccio colazione ed esco per andare al lavoro. Accendo il telefonino e mi arriva un sms. “Buon viaggio – Firuzeh”.

Lascia un commento

Un progetto ILBETTA ON AIR