La calzolaia di Venezia – Daniela Ghezzo

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Aperta la porta una catenella m’impedisce di andare oltre. Rimango sorpreso inizialmente. Ma basta qualche secondo, osservare ciò che mi circonda per capire il motivo. Certo è un negozio questo, ma è soprattutto un laboratorio. Nell’antistante retrobottega si realizza. Si danno forme alle idee. Si ricerca l’armonia. E tutto ciò può avvenire solo con la tranquillità. Creando anche una sottile barriera tra il cliente e l’artigiano. Barriera che però sparisce appena gli sguardi s’incrociano. E’ così che Daniela Ghezzo qualche istante dopo il mio arrivo, non solo toglie l’innocuo impedimento che ci separa, ma mi spalanca le porte ad un mondo dove l’arte trova la sua perfetta applicazione.

Mentre ci accomodiamo su delle poltroncine che sembrano aver trovato la loro perfetta dimensione in quello spazio, gli occhi non riescono a staccarsi dalla visione di quelle scarpe distribuite su pareti non lunghe, ma imponenti. Per la prima volta capisco cosa significhi essere in un negozio dove le calzature vengono fatte rigorosamente a mano. Non c’è bisogno di luci, musica e un addetto alle vendite. Basta sintonizzare la frequenza del gusto per capire cosa di noi c’è in quegli oggetti.

Daniela inizia a raccontarmi la sua storia. Il perché di un lavoro come quello. Cosa c’è dietro alla lavorazione di una calzatura. Il suo approccio verso una forma di artigianato che rischia di scomparire. Mi racconta tutto ciò con un sorriso che esprime gioia e felicità. Conferma di un percorso professionale non imposto, ma fortemente scelto. Lei, che inizia fin da giovane a presenziare nella bottega di Rolando. Il maestro. Un figlio d’arte che porta avanti i segreti di un lavoro dove, è la passione l’elemento differenziante. E proprio questi primi assaggi, mentre è ancora al Liceo Artistico, permettono a Daniela di apprendere ancor prima di un’arte un modus vivendi.

Il confronto con un’età adulta. Da un lato con un “datore di lavoro” dove l’estro artistico è il viatico per la realizzazione di un prodotto di qualità. Dall’altro una clientela che prima di tutto bisogna ascoltare. Capirne le effettive esigenze, per proporgli una calzatura che non può essere che la loro. Daniela è una spugna in questo. Come un antropologo studia le dinamiche comportamentali di chi gli sta attorno. Immagazzina stimoli. Metabolizza pensieri che poi gli saranno utili nel suo percorso di crescita.

In questa sua duplice veste di lavoratrice e studente, dualismo che la caratterizzerà per molto tempo e sotto forme diverse, intraprende l’Accademia di Belle Arti. Ma si accorge ben presto che c’è una distonia. La bellezza dell’arte viene bilanciata da uno stereotipo di artista, che non tanto velatamente, ha una tristezza di fondo. Poi comunque c’è un impatto emotivo che Daniela Ghezzo, non è disposta completamente a subire. Ha la conferma che il suo animo più che all’artista si identifichi in quello dell’artigiano, dove possono trovare spazio l’utilità e il divertimento.

Naturalmente anche per Daniela vale la regola degli incontri. Ed è proprio con Gatto, uno straordinario calzolaio romano, specializzato in scarpe da uomo, che la giovane veneziana aggiunge un ulteriore importante tassello nel puzzle della sua vita. Con questo nuovo bagaglio d’esperienza, torna in quella bottega a due passi da Campo S. Luca, dove aveva iniziato come garzone. Propone scarpe che una volta realizzate e messe in vetrina trovano il consenso da parte delle persone. Ma non è sufficiente. Capisce che se vuole fare un lavoro che la renda felice e soprattutto se è decisa a scardinare logiche maschili in un ambiente ancora fortemente legato alla figura dell’uomo, deve acquisire ulteriore credibilità. Non essere attaccabile.

E’ così che inizia un corso di stilismo presso la scuola calzaturiera di Strà. Poi un anno di passaggio in un’azienda di produzione di scarpe ed infine la grande decisione. Nel periodo forse più difficile di completa trasformazione economica e sociale a livello mondiale, con il crollo delle torri gemelle, l’introduzione dell’euro e una crisi finanziaria che si affacciava all’orizzonte, prende in completa gestione il negozio di Rolando.

Arrivati a questo punto della storia Daniela fa per la prima volta una pausa. Non perché non sappia più cosa dire, ma per farmi intendere che tutto ciò che è accaduto dopo è di fronte ai miei occhi. E’ riuscita in quello che forse in pochi pensavano fosse possibile. Non solo portare avanti una tradizione artigiana. Ma iniettarvi una vitalità moderna in grado di far evolvere un prodotto su misura oltre che, avvicinare anche persone giovani ad un oggetto pervaso dal senso estetico e dall’armonia.

Solo ora che ha vissuto direttamente tutti gli aspetti di una professione artigiana da preservare può ritenersi soddisfatta. Nel frattempo si è attorniata da collaboratori capaci, in grado prima di tutto di sposare un sogno, prima di un lavoro. Dove comunque serietà ed etica presenziano in maniera costante.

Prima di andarmene vengo pure deliziato di cosa significhi per un cliente entrare nel negozio di Daniela. Il fatto rilevante è che proprio quel termine scompare. Non si è clienti. Come all’inizio anche per me si era tempestivamente abbassata quella catenella, così accade per quella signora. E’ entrata una persona. Ora avrà inizio un dialogo. Il risultato finale sarà una scarpa su misura, ma tutto ciò che accadrà nel mentre ha un valore non quantificabile.

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