La casualità d’essere Renzo Di Renzo

Spesso abbiamo una visione parziale e riduttiva delle persone.
“Ah, tu fai questo, quindi sei questo”. Dimentichiamo che un individuo è costituito da un insieme di passioni, interessi e predisposizioni che ne fanno un soggetto piacevolmente variegato.

Se poi si ha la fortuna d’incontrare qualcuno che di natura è poliedrico, si ha la certezza che le etichette hanno diritto di esistere solo sui faldoni di un archivio.

Sono le 9.30 a Venezia. Ho appena attraversato una Piazza San Marco ancora non troppo gremita di turisti e con il sole che illuminando le calli, porge il suo buongiorno ad una Serenissima ancora assonnata.

All’inizio di Strada Nuova si affaccia sul Canal Grande uno dei tanti e meravigliosi palazzi di questa città. Al secondo piano di esso vi è un luogo magico. Un luogo che vuole ricordare La Forza del Sogno di un imprenditore illuminato. Un luogo che vuole promuovere i sogni di tanti giovani artisti e talenti. Si tratta della Fondazione Claudio Buziol e ad accogliermi c’è il suo direttore artistico: Renzo Di Renzo. E’ con lui che andremo a testare le tante sfaccettature di un essere umano.

Ci accomodiamo in una stanza che accoglie molti degli avvenimenti ed incontri della Fondazione. Osservo Renzo in questa sala settecentesca. Il contesto gli si addice. Con abiti d’epoca, potrebbe tranquillamente impersonificare un nobile del passato.

Iniziamo a conversare. Partiamo dalla fine in termini temporali. Un libro. La Musica è il mio radar. Massimiliano Nuzzolo ne è il curatore. Renzo Di Renzo uno degli autori con un suo racconto.

“Questo è un progetto che premia la passione di chi l’ha portato avanti, Massimiliano Nuzzolo. Già fautore di altre interessanti iniziative, è un ragazzo in gamba, che stimo. Avevo un racconto rimasto fuori dal mio precedente libro (Motivo Privato edito da Marsilio, ndr) legato alla musica. A questo aggiungiamo che l’intero ricavato sarà devoluto alla AMREF per finanziare dei progetti in Africa, diciamo è stato un piacere parteciparvi.”

Ma che rapporto ha Renzo Di Renzo con la scrittura?
“Per fortuna non è il mio mestiere” mi dice sorridendo. “Anche se ho pubblicato quattro libri, non mi considero uno scrittore. Scrittore è colui che fa solo ed esclusivamente questo, vivendo di ciò. Io non ho i tempi e la loro costanza. Mi sono ritrovato, come per tante altre cose, un po’ per caso a pubblicare un primo libro. Sollecitato dalle persone che mi stanno attorno. E’ andata bene. Però la scrittura rimane una passione. Una delle modalità per esprimermi”.

Direi che è andata più che bene, visto che Nero ha vinto il premio Grinzane Junior?
“Certo. Però anche quel libro è nato più che altro da una mia esigenza personale. Volevo attraverso dei racconti per bambini comunicare agli amici, alle persone che mi conoscono, che da lì a breve mi avrebbero visto in un contesto personale diverso. Attraverso la scrittura volevo fargli capire in un certo qual modo cosa sarebbe accaduto. La finalità che diventasse un libro commercializzabile era secondaria. E’ per questo che la proposta editoriale l’ho inviata solo a due case editrici e con una delle due è andata a buon fine.”

Renzo, quindi per te la scrittura è una passione. Ma cosa vuol dire portare avanti una passione?
“Partiamo dal presupposto che spesso la passione deve essere gratuita. E’ per questo motivo che molti giovani creativi e talentuosi, purtroppo si riducono a fare il surrogato di quello che vorrebbero fare. Ottimi fotografi che si ritrovano a scattare foto per dei matrimoni. Promettenti musicisti a suonare in feste di piazza. Bravi fumettisti a fare le caricature ai turisti. Questo è un sistema che non sempre premia il talento delle persone, le quali appunto si ritrovano disilluse a fare qualcosa di diverso per guadagnare.”

Mentre Renzo parla, si capisce dal tono di disappunto con il quale esprime queste parole, che non gli va bene una situazione contingente di questo tipo. Anche perché parte del suo tempo lo dedica alle speranze dei giovani. Ne percepisce le loro potenzialità e allo stesso tempo le loro insoddisfazioni nel non poter seguire un loro amato cammino.

Com’è nata la collaborazione con la Fondazione Claudio Buziol?
“Arrivavo da un’entusiasmante esperienza in Fabrica. Erano gli anni di Oliviero Toscani. Gli anni in cui c’era la possibilità di lavorare insieme con tanti giovani in gamba. Vederli arrivare. Vederli crescere per poi lasciarli andare per le loro strade. Una ciclicità di gruppi di lavoro che teneva costantemente alto il livello di creatività presente. Poi però la necessità dopo sette anni di cambiare. Ripartire da zero per rimettermi in discussione. Ed ecco arrivare la possibilità di collaborare con la Fondazione Claudio Buziol. Ancora una volta, quasi per caso, ma nel momento ideale per me di cambiare.
Oggi a distanza di tre anni, possiamo contare su un numero cospicuo di attività portate avanti, una serie di collaborazioni di rilievo oltre ad essere considerati a Venezia tra i principali interlocutori culturali.”

Tu sei fondatore anche di HEADS Collective. Che periodo è per le agenzie di comunicazione?
“Abbiamo la fortuna per lavorare per grandi marchi. E’ indubbio però che con la crisi economica si siano verificati nelle aziende dei tagli di budget alla comunicazione notevoli. Quindi capita che ci siano richieste importanti da parte dei clienti che non trovano il giusto corrispettivo economico. Il rischio è che si radichi l’abitudine a sottopagare un lavoro spesso articolato.”

A proposito di comunicazione, cosa ne pensi della polemica legata alle affissioni pubblicitarie a Venezia?
“Credo che ci siano cose più brutte delle affissioni. La gente dovrebbe scandalizzarsi di più per i tagli alla cultura. L’intervento dei privati è necessario. Come diceva uno degli ultimi ospiti che abbiamo avuto in Fondazione, il rischio altrimenti è che il pubblico diventi privato. Che la gente venga privata delle immense bellezze artistiche che vengono parcheggiate in stanze inadatte perché non ci sono i soldi per ristrutturare importanti spazi espositivi.
Per quanto riguarda le affissioni a Venezia, si tratta solo di adottare una modalità di linguaggio conforme alla città. Le aziende devono contestualizzare il loro messaggio pubblicitario e questo se non raggiunge determinati criteri qualitativi prestabiliti non può essere affisso.”

Veniamo all’insegnamento. Cosa rappresenta per te?
“E’ un modo per stare attaccato ai giovani. Insegnando all’Università da un lato apporto agli studenti la mia esperienza, quello che ho maturato sul campo del mondo del lavoro. Dall’altro ricevo da loro entusiasmo, energia, voglia di fare e poi non ti nascondo, che durante le ore di laboratorio del corso di design/management e comunicazione d’impresa, i ragazzi mi hanno presentato delle proposte che tranquillamente potrebbero trovare commercializzazione da parte di qualche azienda”.

Ma tra scrittura, la Fondazione Claudio Buziol, il tuo studio e l’insegnamento all’Università di San Marino, trovi il tempo per qualcos’altro?
“Oltre la famiglia e le uscite in mountain bike, ci sono altri progetti in cantiere. Il prossimo in uscita sarà Treviso Design. Ufficialmente sarà inaugurato il 2 dicembre e rappresenta la volontà di raggruppare varie situazioni ed iniziative di design presenti nella provincia, sotto un unico modello di sviluppo, in modo tale da non aver dispersioni in un settore in forte fermento.”

Prima di lasciarci non posso non farti questa domanda. Ma sotto sotto, cosa ti senti di essere?
“Un editore. Cerco di presentare contenuti di qualità attraverso modalità diverse e gran parte del merito va ai giovani brillanti che incontro.”

Lascio Renzo e la Fondazione. Me ne torno a camminare per le calli. Me ne torno a viaggiare con i pensieri. Quasi per caso Renzo DI Renzo si è ritrovato ad essere quello che è. Quasi per caso io mi ritrovo a raccontare la sua storia. Quasi per caso qualcuno oggi troverà la propria strada. E questo è un augurio.

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