Cristiana e Antonio: due “strani” architetti

Ci lasciamo dopo due ore di piacevole conversazione. Prima di andarsene mi lasciano i loro biglietti da visita “… qui trovi i nostri riferimenti, se hai bisogno di altre informazioni…”. Li prendo in mano e guardandoli con attenzione, come nella migliore tradizione giapponese, mi soffermo sulla dicitura sotto i loro nomi. Sorridendo mi viene spontaneo dirgli “Ma siete sicuri che la dicitura architetto sotto il vostro nome sia corretta?”. Questo non tanto perché è scritta in inglese, ma per via delle considerazioni che sono emerse dopo aver parlato con loro.

Antonio Girardi e Cristiana Favretto - fondatori di studiomobile

Da un architetto forse in maniera erronea e stereotipata non mi sarei mai aspettato di sentire quello che mi hanno raccontato Cristiana Favretto e Antonio Girardi. Con loro sono partito parlando di orti, per passare dalla tecnologia alla filosofia, fino ad arrivare all’approccio che hanno i ragazzi nel condurre le loro ricerche.

Cristiana e Antonio sono di sicuro una coppia strana di architetti. Strana in termini di come con metodi innovativi, portano avanti con passione il loro lavoro. D’altronde ci sarà un motivo se il TIME ha inserito tra i cento progetti green appunto più innovativi, uno loro. Fondatori di studiomobile, Cristiana e Antonio, oltre che essere coppia nella vita privata, sono coppia anche nel lavoro dove hanno trovato il perfetto equilibrio attraverso le loro differenti inclinazioni. Più orientata all’arte e al marketing lei. Più ancorato alla tecnologia e alla progettazione lui.

Ecco quello che mi hanno raccontato qualche sera fa, seduti al tavolo di un bar che poco dista da quell’Istituto Universitario d’Architettura di Venezia che li ha visti cimentarsi come studenti una decina d’anni fa.

“Ma lo sai che hai già intervistato un nostro amico, Carlo Tinti, con il quale abbiamo collaborato a Mestre Sweet City?” esordisce Cristiana con due occhi che oltre ad essere di un intenso azzurro chiaro, brillano dal trasporto con il quale parla. Capisco fin da subito che c’è una forte passione per quello che è e per quello che sta facendo. “… sì abbiamo contribuito attraverso la realizzazione di un video multimediale a questo progetto, che ci è sembrato interessante nella sua ottica di ripensare a dare nuova vita a spazi abbandonati e degradati” aggiunge prima di proporre un brindisi alla chiacchierata che stiamo per iniziare.

Poi prende la parola Antonio e con tono pacato, ma coinvolgente mi racconta quali sono secondo lui le due impellenze dalle quali partono le loro analisi per alcuni dei loro progetti – “… acqua e cibo, la scarsità delle risorse primarie! Ecco perché spesso ci soffermiamo a studiare gli orti. Occorre riprendere in mano delle conoscenze che altrimenti andrebbero perse… pensiamo ad esempio cosa sta dietro ad un pomodoro, solo la cultura agricola di qualche anziano può trasmetterci tutti i processi naturali che stanno alla base della coltivazione di questo ortaggio… è importante far capire che non è presente in tutte le stagioni, far capire ai ragazzi cosa c’è dietro il pomodoro ben adagiato sul bancone del market… sarebbe fondamentale che gli anziani riuscissero a trasmettere queste loro conoscenze… solo così forse si rispetterebbe maggiormente quello che si mangia, che non è una risorsa infinita…”.

Dopo una mia perplessità iniziale, capisco lo scenario verso il quale Cristiana ed Antonio vogliono accompagnarmi. Con questa visione che mi offrono, non esito a chiedere informazioni su il loro progetto Seawater Vertical Farm che il TIME ha inserito tra i cento progetti green più innovativi…

Copertina del numero del TIME dove è stato inserito il progetto Seawater Vertical Farm di studiomobile

“Ma quindi è nato da queste osservazioni, da queste considerazioni legate alla scarsità di risorse primarie Seawater Vertical Farm?”

Antonio: “Bé, sono i problemi con cui bisogna fare i conti oggi. Il sistema del cibo globalizzato è il più grande inquinatore. Produce più CO2 dell’industria se sommiamo la deforestazione, la refrigerazione, il trasporto e l’impacchettamento del cibo. La grande sfida oggi è trovare un sistema economico e efficiente per produrre cibo vicino a chi poi dovrà effettivamente mangiarlo. Se poi si riesce a non gravare sulle risorse idriche esistenti… La SWVF usa acqua di mare per raffrescare e umidificare le serre, condensando l’umidità in eccesso in acqua dolce per irrigare le piante. Il tutto sfruttando passivamente le risorse naturali: sole e acqua di mare.”

Immagine del progetto Seawater Vertical Farm di studiomobile

“Come si è instaurata una collaborazione così importante negli Emirati Arabi? E quali sono state le fasi di sviluppo di un progetto così articolato?”

Cristiana: “Siamo arrivati negli Emirati Arabi con una multinazionale Europea con cui io ho lavorato a lungo, L’Oreal. Loro ci hanno introdotto e presentato alcune famiglie locali che finanziano progetti di ricerca legati allo sviluppo della regione. Da qui abbiamo collaborato con team internazionali che fanno ricerca in tutti i campi, dalla tecnologia, alla biologia, al marketing, agli impatti che avrà lo sviluppo sulla società.”

“Mi sembra di cogliere che avete un approccio multitasking, interdisciplinare all’architettura. Affrontate un progetto di progettazione, prendendo spunto da altre discipline. Vedo spunti economici, di comunicazione e addirittura umanistici. Ma ad esempio tu Antonio, che lavori anche nel dipartimento di Tecnologia dello IUAV di, da dove hai attinto queste tue sfaccettature filosofiche?”

Antonio: “La distinzione tra attività tecnica e attività umanistica è un’invenzione recente. Nel Rinascimento erano semplicemente attività del sapere. La tecnologia slegata dalla conoscenza dell’uomo, delle sue esigenze e dei suoi sogni prende un percorso a se stante. Diventa un mostro che genera mostri e brutture. Guarda le nostre città…”

“Antonio se ti dico civitas, cosa mi rispondi?”

Antonio: “I romani non distinguevano nemmeno linguisticamente tra città e società, tra l’insediamento fisico e chi in quell’insediamento viveva, modellava e ne era modellato. C’è sempre stato un rapporto diretto tra città e società. Società brutte creano città brutte, ed è vero anche il contrario.”

“Invece per te Cristiana, quanto è stato importante per quello che stai facendo oggi, vivere per un periodo in una città così particolare come Barcellona?”

Cristiana: “Barcellona è un melting pot di culture di stili, di creatività. E’ stata una delle più importanti città europee degli ultimi vent’anni. Per un architetto, in quanto creativo, è importante vivere nel cuore del contemporaneo. E Barcellona è una città da cui puoi solo lasciarti travolgere…”

“Da incompetente in materia architettonica, ma con una forte curiosità da uomo della strada, mi capita spesso di chiedermi perché spesso si costruiscono delle cose esteticamente brutte. Ora voglio rigirarvi la domanda. Dal vostro punto di vista quand’è che una struttura è bella?”

Antonio: “Il concetto di bello il più delle volte viene equivocato. Si pensa che sia qualcosa di irrazionale e ineffabile, quando è solo una risposta del cervello a qualcosa che trova adeguato. Per esempio ho letto uno studio che dimostra che i tratti fisici di donne e uomini che consideriamo belli altro non sono che l’indicazione di sanità fisica e garanzia quindi che producano una prole sana. La stessa cosa in architettura. Bello è ciò che sentiamo adeguato. A un luogo, a una funzione, a delle esigenze, a un tempo storico. Perciò le nostre costruzioni le troviamo orribili perché abusano del territorio, sono costruite con tecniche obsolete, non sono efficienti e molto spesso invivibili. Magari utilizzano anche un linguaggio fintamente classico che del classico non conosce la storia, i materiali e quindi alla fin fine, il senso ”

Cristiana: “Il bello è ciò che è giusto.”

“E cosa mi dite della somiglianza in negativo tra molti edifici pubblici. Scuole, ospedali, tribunali sono tutti uguali: delle scatole, dei capannoni. Perché non hanno una loro specifica identità coerente anche con la funzione che devono avere?”

Antonio: “L’architettura è una forma di comunicazione di massa. Il linguaggio che si utilizza per un edificio riflette l’idea che la società ha delle funzioni che in quell’edificio si svolgono. Sedi comunali, tribunali, scuole vengono costruiti con le stesse tecnologie, le stesse forme e lo stesso linguaggio dei capannoni, principalmente perché l’attività che vi si svolge dentro è sentita come un’attività tecnica. Qui non alberga più la cultura, ma la tecnica.”

“Sentendo parlare voi, colgo che prendete spunto per i vostri progetti da situazioni diverse. Mi sembrate, per utilizzare un termine a me caro, quasi degli innovatori. Ma allora qual è la figura dell’architetto oggi? Quali sono gli elementi di diversità che l’architettura deve adottare rispetto al passato?”

Antonio: “Un architetto dovrebbe studiare come si evolvono le esigenze della società e contribuire a dar loro forma. Alcune grandi architetture del passato hanno contribuito a prefigurare una alternativa concreta ad un modo di vivere. E i temi su cui l’architetto può lavorare sono moltissimi. Soprattutto adesso che la tecnologia avanzata viene impiegata in tutti i campi.”

Cristiana: “L’architettura è una disciplina molto complessa perché sottintende la gestione di un grande sapere. Gli architetti che più amiamo, conoscevano profondamente la società e ciò che essa produceva ovvero avanguardie artistiche, correnti letterarie, musica, tecnica, filosofia ecc. Se penso a grandi architetti come come Buckminster Fuller, Mies Van der Rohe e molti altri vedo personalità che hanno gestito un sapere grande ed hanno saputo tradurlo nel loro tempo, il loro zeitgeist! Hanno saputo fare una ricerca encomiabile, grazie alla loro capacità di percorrere le arti e le tecniche. Oggi questa capacità è ancora più importante in un periodo storico in cui, per dirla alla Yves Michaud, stiamo vivendo un “vaporarizzazione” delle arti e delle discipline. Mai come in questo ultimo decennio abbiamo visto un invasione tra le varie discipline, i confini tra di esse diventati ormai gassosi, fecondandosi le une con le altre.

“L’architettura come altre discipline risente a mio avviso anche di alcune “mode”. Ora si cavalca l’ecosostenibile, il green, ma tanti dei progetti che vengono presentati mancano di spessore. Cosa vuol dire per voi andare in profondità delle cose?”

Antonio: “E’ vero. La sostenibilità è diventata un’etichetta appiccicata sopra a molti prodotti. Anche se molte volte viene usato in maniera superficiale, soprattutto dagli architetti. Viene messo l’accento su materiali biocompatibili e efficienza energetica, che sono solo fattori di un paradigma più complesso che comprende anche equità sociale e condizioni economiche.”

Cristiana: “Il nostro approccio è del tutto diverso. Più a trecentosessanta gradi, a tutto tondo. Cerchiamo di tenere conto di più fattori possibili quando progettiamo. E’ più complicato, ma anche molto più divertente.”

“Ma qual è il vostro sogno nel cassetto? Cos’è che ambireste a costruire?”

Antonio: “La Biblioteca di Babele, come nel racconto di Borges.”

Cristiana: “Vorrei aver progettato La Ville spatiale di Yona Friedman

Mentre rispondono alle mie domande, non posso non considerare che Cristiana e Antonio non solo sono colleghi, ma sono anche una coppia nella vita di tutti i giorni. Questo aspetto mi affascina molto, perché faccio sempre fatica a comprendere completamente come si possa lavorare e vivere con la stessa persona. Ho sempre la sensazione che una delle due dimensioni possa prevaricare l’altra mettendola a rischio.

“Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare oltre che vivere insieme?”

Antonio: “Svantaggi? Cristiana è la persona con cui è stato più facile e stimolante collaborare!”

Cristiana: “Non ci sono grossi svantaggi soprattutto quando il lavoro sconfina nelle tue passioni e nel tuo quotidiano. Sarebbe difficile per entrambi non coinvolgersi reciprocamente in qualcosa che ci appassiona. Non ci spaventano gli svantaggi. Mi hanno sempre affascinato le storie di grandi coppie che hanno condiviso la vita oltre al lavoro, come gli Smithson, Jean Claude e Christo, gli Eames, Sartre e la Beauvoir.”

“Dai prima di lasciarci, siete stati a Milano all’ultima edizione del Design Week, chi di voi ha voglia di raccontarmi com’è andata?”

Cristiana: “E’ stato molto interessante. Milano in questi giorni concentra molte attività interessanti, diventa occasione di vedere vecchi amici e fare nuove conoscenze. Noi abbiamo esposto a Palazzo Isimbardi, sede della Provincia, in una mostra chiamata Well Tech che indagava il tema della creatività e dell’innovazione, con progettisti da tutto il mondo. Un ottima occasione per fare network.”

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