Chiara Meattelli: London Calling

Ci sono alcune cose che mi accomunano a Chiara.

La cosa più immediata potrebbe sembrare il destino meteorologico. Mentre sto scrivendo il cielo è grigio e una sottile pioggerellina oceanica ferma la sua corsa sulle finestre di casa. Proprio come a Londra dove Chiara vive da diversi anni. Ma togliendo il leggero appannamento dei vetri, formatosi forse dalla condensa dei miei troppi pensieri, si può scorgere il vero filo conduttore tra me e Chiara: la musica e la scrittura.

Una scena che si ripete quotidianamente. Chiara Meattelli al mattino in sella alla sua inseparabile Vespa mentre cerca di capire quale musica ascoltare sull'iPod prima di partire. Situazione, a nota della stessa Chiara, che può prolungarsi per diverso tempo.

Mentre lei da piccola disegnava su dei quaderni delle ondine facendo finta di saper scrivere e interpretandone il contenuto in fantasiose storie di viaggi, io abbozzavo sul terriccio con un bastone dei primi simboli simili ad un vocabolario azteco.

Mentre qualche anno dopo lei presentava a Perugia una tesi su John Lennon, io in quel di Venezia ne discutevo un’altra dedicata alla radio. Insomma se il buongiorno si vede dal mattino, il nostro destino era scritto e musicato già da tempo.

Ma cosa ha portato Chiara Meattelli ad essere oggi corrispondente da Londra per importanti magazine musicali e quotidiani nazionali? A questa domanda forse Chiara risponderebbe con un “Go travelling!”, con la consapevolezza che si cresce viaggiando, ma per sentire la sua versione su questa tappa importante della sua vita, diamo direttamente la parola a lei, visto che mi lampeggia sul monitor del portatile un London Calling.

“Allora Chiara arrivi a Londra otto anni fa e inizi subito uno stage con un’anima punk/rock come Vivienne Westwood. Direi non male come partenza?”

“Appena arrivata ero proprio una pivellina! Era tutto così nuovo, diverso, soprattutto lavorare in un ufficio di moda… e alla Westwood non ci si annoiava mai. Magari passava Uri Geller a salutare Vivienne, si fermava in ufficio a fare il suo classico numero in cui piega i cucchiaini e legge il pensiero… cose del genere! Vivienne è una persona molto carismatica, di quelle che sembrano sempre nel proprio mondo ma anche estremamente carina e gentile; ogni mattina veniva in ufficio in bicicletta…”.

“Uno stage che, comunque, si è trasformato in un lavoro. Ma poi cos’è successo, smania di continuare a viaggiare che ti sei diretta negli Stati Uniti?”

“Non esattamente. Senza entrare in dettagli, a un certo punto non ero più mera stagista ma nemmeno assunta, diciamo che le cose non sono andate come volevo e che comunque non ho mai sognato di lavorare al marketing di una casa di moda. Dopo l’esperienza alla Westwood ho lavorato per più di 3 anni come traduttrice e dopo ancora mi sono trasferita negli Stati Uniti. Ho vissuto in Colorado con il progetto preciso di andare sei mesi dopo a San Francisco e magari mettere su famiglia. Più che la smania di viaggiare, sono andata per via di un uomo. E’ sempre così no?! Credo che i più grandi salti nel buio nella vita si facciano sempre per amore…”.

“Questa parentesi americana ti ha permesso anche di dedicare del tempo alle tue passioni. Mi dicevi che in quel periodo da un lato hai ascoltato parecchia musica e dall’altro hai approfondito la conoscenza della fotografia, che oggi è diventata una tua preziosa compagna insieme alla scrittura. Cosa mi dici a riguardo?”

“Per vivere in America con un visto legale dovevo essere iscritta ad un college, frequentare ed avere pure buoni voti altrimenti mi avrebbero deportata. Così ho seguito due corsi di musica e due di fotografia, digitale ed analogica. Non era una scuola prestigiosa, come ben sai quelle costano una fortuna ma mi ci sono lo stesso buttata a capofitto. Non facevo altro che ascoltare musica, suonare, scrivere musica, scattare e stampare foto… avevo sistemato una camera oscura nel back porch di casa. Al college ho imparato a recensire i primi concerti di musica classica e a scrivere brevi (e insensate!) composizioni al piano. A volte mi svegliavo la notte e correvo alla tastiera con una melodia in testa. Quando penso a quello che riuscivo a suonare ai tempi mi sorprendo, oggi sono drammaticamente peggiorata e mi spiace. Ma se avessi davvero avuto talento credo che a quest’ora non starei a scrivere di musica quanto piuttosto a scriverla!”

Photo: dal reportage sulle Dancehall, Kingston, Jamaica. ©Chiara Meattelli

“Nel 2006 però torni a Londra. Inizi un nuovo lavoro come assistente editor di una ADV Agency, ma soprattutto cosa più importante inizi a scrivere le tue prime recensioni per il magazine musicale Buscadero. Ti ricordi ancora quel momento?”

“Ricordo il primo concerto visto per lavoro: i Pearl Jam nel piccolo teatro dell’Astoria – ora demolito – i fan erano pronti ad uccidere per avere un biglietto. Sentivo addosso una gran responsabilità, come se la mia recensione avesse l’importanza di una risoluzione delle Nazioni Unite! Per scriverla devo averci impiegato una giornata intera. Ho provato a rileggerla di recente, sembra un compitino delle medie. Fa davvero uno strano effetto, sembra una vita fa!”

“Con quella prima recensione sui Pearl Jam, ti rendevi conto che stavi per intraprendere il percorso più adatto alla tua persona o lo consideravi solo una buona opportunità per seguire la tua passione musicale?”

“Non pensavo certo di poter campare di scrittura e fotografia. Il mio lavoro era agli uffici della ADV agency in Carnaby Street, mentre le recensioni per il Busca, i concerti e le prime foto di show dal vivo erano solo un modo per sentirmi ancora viva e creativa dopo aver svolto per 8 ore un lavoro che non mi soddisfaceva affatto”.

“Poi però, dopo un anno ti sei trovata tutta d’un tratto senza lavoro. E’ li, in quella situazione di drastico cambiamento, che ti sei chiesta cosa volevi fare da grande?”

“Beh, quando da un giorno all’altro ti trovi senza lavoro e senza risparmi e un affitto da pagare nella città più costosa del mondo, ti prende un panico atroce! Soprattutto quando sai che non potresti mai tornare indietro in Italia, perché non la senti più tua e lì non sapresti nemmeno dove iniziare per cercare lavoro. Cosa fare da grande me l’ero già chiesta prima, quando ero tornata dal Colorado e l’uomo che pensavo di sposare non era più nella mia vita. Lì ero davvero perduta, mi sono dovuta smontare pezzo per pezzo, ricostruire e ricominciare da zero. Ma non avevo né tempo né denaro per cercare “il lavoro dei miei sogni” (e non sapevo nemmeno quale fosse) e quell’impiego in ufficio arrivò proprio al momento giusto, non potevo permettermi di rifiutarlo. E se non avessero licenziato la mia “capa”, e di conseguenza anche me, forse non avrei mai trovato il coraggio di buttarmi e provare a fare quel che davvero mi piace”.

“Infatti la tua tenacia e la tua passione ti hanno portata a fine 2007 a entrare in contatto con Rolling Stone Italia. Cosa hai provato quando hai visto il tuo primo articolo pubblicato?”

“Tenacia e passione sicuro ma non dimenticarti il tempismo, una variante fondamentale! La mia email totalmente casuale alla redazione del Rolling Stone era, infatti, arrivata non solo nel giorno giusto ma anche nel momento giusto stando a quanto mi è stato poi detto al colloquio… Il primo articolo, pubblicato sul web, era un’intervista a uno dei gruppi che avevo molto amato durante i primi anni di Londra, i Black Rebel Motorcycle Club. Sembrava un sogno essere pagata per parlare con uno dei miei chitarristi preferiti, Peter Hayes. Quando poi ho visto il primo articolo stampato su carta, mi pare fosse un’intervista all’attore Robert Carlyle, mi sembrava ancora più inverosimile e ho cominciato anche a crederci un po’…”.

“E dopo i magazine specializzati sono arrivati anche i quotidiani. Ora se non sbaglio la tua “penna” trova spazio anche sul Il Secolo XIX?”

“Sì, ora sono corrispondente per il Secolo XIX, mi occupo di spettacolo, cultura e attualità. Mi danno grandi spazi, pagine intere e sono molto ricettivi alle mie proposte. Inoltre il ritmo serrato e continuo di un quotidiano è una palestra fondamentale per migliorare la mia scrittura, sento di imparare molto”.

“Quali sono le differenze maggiori di scrivere per una rivista di musica e un giornale quotidiano?”

“Mi è stato insegnato che quando si scrive un articolo, bisogna sempre pensare a chi poi lo leggerà. Non posso parlare in termini tecnici, tipo quale pedaliera usa Marc Ribot durante uno show, in un quotidiano, bisogna pensare che un lettore lo perdi in tre secondi, il tempo di girare la pagina. Ricordo che la prima recensione di un concerto per un quotidiano l’avevo scritta per “Il Giornale” utilizzando la prima persona, proprio come farebbe qualunque giornalista dell’Independent, del Guardian, Daily Telegraph o il Times, i miei quotidiani di riferimento. Ma il redattore mi aveva ironicamente risposto: “In Italia per scrivere in prima persona su un quotidiano devi essere Montanelli!” Il Rolling Stone invece mantiene ancora forte l’eredità di Hunter S. Thompson – uno dei miei autori preferiti che scriveva anche per il RS americano – il cui stile “gonzo” è tutto basato sulla prima persona, le esperienze e sensazioni personali, per questo adoro scrivere pezzi per loro. Diciamo che bisogna usare un linguaggio differente a seconda della testata e la parte più divertente è mantenere il proprio stile anche quando si scrivono cose diverse e in termini diversi. Uno stile riconoscibile è tutto, in una foto come in un articolo”.

“Ma cosa vuol dire fare giornalismo musicale oggi?”

“I grandi motori di un giornalista dovrebbero essere la curiosità e la prontezza, di conseguenza quello musicale dovrebbe essere il primo a scovare nuovi gruppi ed album da sottoporre all’attenzione del lettore. In Italia il giornalismo musicale esiste solo ed esclusivamente sul web e sulle riviste di settore, i quotidiani nazionali si occupano quasi esclusivamente di spettacolo televisivo e simili. Per me giornalismo musicale significa parlare di musica senza dovere necessariamente parlare del reggicalze di chi la canta.”

“Bene ora parliamo un po’ di… musica. Dalla tua postazione privilegiata londinesi, come vedi la situazione artistica e lo scenario musicale italiano?”

“A dire il vero non posso vedere molto da qui, non è proprio una posizione privilegiata per capire cosa succede da voi! L’Italia non è certo famosa per esportare musica all’estero, fatta eccezione per i paesi latini e qualche fenomeno popolare come Bocelli, la cui voce farebbe venire l’orticaria acuta a qualsiasi estimatore di lirica. A volte vedo artisti italiani suonare qui a Londra ma si tratta di concerti che fanno per i tanti immigrati italiani a Londra: Afterhours, Vinicio Capossela, Ligabue… se c’erano inglesi si contavano sulle dita di una sola mano. A Milano ho notato un bel fermento di musica indipendente, purtroppo non ho avuto modo di sentire molti artisti fatta eccezione per quelli che conosco a titolo d’amicizia come Dente e i Calibro 35. Loro mi piacciono moltissimo ma sono pronta a giurare che non trovano molto spazio nei giornali, perché la musica conta poco in Italia, dove l’informazione musicale è così spregiudicatamente orientata verso fenomeni di spettacolo come X Factor e simili… che con la musica hanno poco o nulla a che fare”.

“Dai fammi fare uno scoop. Dimmi secondo te quali saranno le novità musicali internazionali che arriveranno presto anche in Italia?”

“Beh dipende dove vuoi che arrivino! A livello di mainstream mi aspetto che The Drums, Marina & the Diamonds ed Ellie Goulding diventino famosi. Posso dirti gli album di debutto di nuove bands che mi stanno piacendo molto, un nome su tutti John Grant ma anche Peggy Sue, Lone Wolf, The Irrepressibles, Local Natives… Mentre sia Fionn Reagan che Laura Marling sono appena usciti con un ottimo secondo album e penso che siano due giovani artisti che ci regaleranno belle cose in futuro. Poi ci sono i grandi musicisti che vorrei raggiungessero la notorietà che si meritano anche in Italia, come Eels e Midlake tanto per fare due nomi che mi aspetto di leggere nelle classifiche inglesi dei migliori album del 2010″.

Da sinistra George, Violeta e Chiara. Insieme sono i More Bad Times, il progetto musicale antifolk fondato da Former Utopia (George Gargan)

“Ora voglio provocarti. Una Chiara Meattelli live invece, avremo mai il piacere di sentirti suonare dal vivo?”

“Che sia un piacere è tutto da vedere! Mi vedrete sbucare in qualche locale di Londra insieme a due musicisti professionisti: George (chitarra, mandolino, basso, voce) e Violeta (violino). Io sarò quella che canta con voce sguagliata e che suona la chitarra alla buona. E che dice sempre qualche cazzata sul palco! La nostra è una band antifolk, un side project di George (Former Utopia) ma abbiamo appena sei canzoni nel nostro repertorio al momento… e se continuiamo così a rilento per averne altre sei ci impiegheremo un altro anno!”.

Dopo quasi due ore di chiacchierata con Chiara fuori ha smesso di piovere e un timido sole cerca di farsi spazio tra le poche nuvole rimaste. Sarà un segno anche questo, come lo è sicuramente quello che ha portato Chiara a realizzare un sogno. Non so ancora se Chiara è completamente soddisfatta di quello che sta facendo, però è un piacere sentirsi dire “… quando prima di dormire ripenso alla giornata appena vissuta e mi sento felice perché sento di fare la vita che ho sempre sognato…”. Certamente è una frase che tutti vorremmo avere il piacere di dire.

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