In viaggio con Antonio

Un giorno un amico mi disse “… ho visto un reportage fotografico di un viaggio, che mi ha fatto sognare … vai a vedere questi scatti, ne rimarrai entusiasta …”.

An altar on top of the world, Tibet 2005 by Antonio Amendola

Con la fotografia ho un rapporto particolare. Fino a qualche anno fa, nemmeno portavo la macchina fotografica in viaggio, convinto che le immagini più belle fossero quelle che immortalavo direttamente nella mia memoria. Vedevo la fotocamera come un’intrusa, che mi distoglieva l’attenzione. Un mezzo al quale dedicarvi forzatamente del tempo. Sbagliavo, almeno in parte. Infatti, poi ho scoperto che è bello condividere con altri immagini, che a parole sarebbe difficile descrivere.

Con questo mio nuovo approccio alla fotografia ed incuriosito dalla segnalazione, vado a vedere chi è questo fotografo che ha destato l’attenzione di un amico, di per sé, già sensibile al tema fotografico.

Il suo nome è Antonio Amendola. Inizio a sfogliare alcuni suoi scatti. Mi basta poco per capire che il mio amico aveva ragione. Arrivo al suo blog Il circolo dei viaggiatori. Mi fermo. Lo chiamo. Veloci convenevoli di presentazione ed arrivo subito al dunque.

“Tu oggi hai un merito! Sei riuscito a togliermi quegli ultimi dubbi che mi erano rimasti legati all’utilizzo della fotografia durante i viaggi. I tuoi scatti mi hanno regalato delle emozioni. Non ti chiedo qual è il tuo segreto, ma cosa provi quando sei lì da solo con la tua macchina fotografica?”

“Ti ringrazio davvero. Credo che per un fotografo non vi sia nulla di più bello che sentirsi dire che le proprie fotografie suscitano delle emozioni. Certo, egoisticamente, di più bello c’è solo l’attimo di assoluta intimità che si vive quando si sente quel piccolo click. Scatto in apnea. Guardo e trattengo il respiro. E’ come se aspirassi la luce che ho a disposizione e la raccogliessi tutta nel momento del click. E’ una sensazione indescrivibile, quasi liberatoria.”

“Ti accorgi ancor prima di vederlo, se uno scatto ti è ben riuscito? Mi spiego meglio, negli istanti prima che ti separano dal fatidico click, immagini già la tua foto come sarà?”

“Spesso sì, mi capita. Vedi, secondo me una buona foto nasce anche dalla consapevolezza che la macchina fotografica non vede il mondo come lo vediamo noi. Noi lo vediamo in tre dimensioni, lei in due. Inoltre noi abbiamo una sensibilità alle luci ed ombre diversa, e così via. Pertanto, ritengo che un buon risultato si ottenga allineando almeno tre fattori: quello che sai che la macchina sta vedendo in quel momento, quello che tu vedi in quel momento, e quello che vuoi ottenere (altri direbbero “esprimere”) con quella foto. Se riesci a collimare tutto questo…beh…vivrai un momento magico. E gli altri lo noteranno.”

“Quando hai iniziato a viaggiare in compagnia della tua macchina fotografica? Eri consapevole del lungo percorso che avresti fatto con lei?”

“Sono cresciuto avendo come modello mio nonno e la sua camera oscura, alla quale – però – avevo poco accesso… e purtroppo se n’è andato troppo presto perché potesse insegnarmi quel che sapeva (era un ottimo fotografo). Con gli anni qualcosa è germogliato ed eccomi qui. La passione per i viaggi e quella per la fotografia si sono alimentate a vicenda ed ora non riuscirei a considerarle slegate.

Conosco chi viaggia nelle proprie memorie, chi nella propria stanza, chi nella propria solitudine, chi dietro l’angolo di casa sua, chi nel traffico quotidiano, chi nei libri. Ma c’è anche chi viaggia in luoghi sconosciuti, dentro paesaggi, memorie e visioni che non sono le sue, che non lo riguardano, che non gli appartengono. Credo che la curiosità che spinge a viaggiare oltre i confini delle proprie memorie e della propria fantasia sia alimentata da un’inquietudine di fondo che spinge a cercare ai quattro angoli del mondo qualcosa. A cercare nelle storie e nei luoghi altrui l’ombra di se stessi… Non mi spingo fino a dire che si cerca se stessi, perchè sarei pretestuoso, mi limito ad un’ombra. Ad una breve intuizione del funzionamento del mondo. Il satori… Ci si mette in discussione e si apre il cuore e la mente, pronti ad accettare le meraviglie della porta accanto o i disastri di paesi lontani e dimenticati, capendo che quello è il mondo e la vita che sarebbe potuta essere la tua ma non lo è stata. E ci si domanderà che cos’è realmente il mondo, questo piccolo campo di gioco che ci vede affannarci dalla mattina alla sera.

E alla fine, anche se non avremo trovato la risposta… quelle domande che ci saremo posti e la curiosità che ci ha spinto per strada (o anche solo la strada della memoria o di una fantasia di carta) ci avrà regalato un bel viaggio. Il ritorno, forse, coinciderà con l’andata. E si capirà che alla fine… tutto torna. I conti tornano sempre…

Perchè scriverlo e perché fotografare il proprio viaggio? Perchè voler condividere la bellezza del mondo o il dolore delle tragedie degli uomini che lo stanno distruggendo? Perchè è vero che spesso si viaggia da soli ma è altrettanto vero che a volte è bello anche viaggiare in compagnia (virtuale nel mio caso di blogger) e rimandare ad altri la sensazione di poter essere in viaggio anche se confinati in una stanza.

Io viaggio per ricordare quando non sarò più in grado di farlo. Viaggio per capire che il mondo è bello e che si può cambiare sempre in meglio. Viaggio per rendermi conto che sono fortunato. Viaggio per ricordarmi che sono vivo.…E la mia macchina fotografica è un’insostituibile compagna di viaggio…”

Nella foto Going back home? - Finnmark, Norway by Antonio Amendola - Esposta dal National Geographic a Milano

“Parto dal presupposto che per te ogni viaggio sia una fantastica nuova esperienza, però ce n’è uno al quale sei particolarmente legato?”

“Hai ragione, ogni viaggio è un’esperienza a sé. Non ricordo un viaggio brutto o non interessante. Tra i più, direi, intensi, sicuramente uno in Perù ed uno in Tibet. E poi sicuramente il Finnmark norvegese. Lì ho avuto il privilegio di vivere uno di quei momenti che chiamo “momenti wow”. Quando rimani letteralmente a bocca aperta e capisci che lì la macchina fotografica non basta più. Devi registrare con gli occhi e la testa. Eravamo in navigazione sul mare di Barents ed era notte inoltrata. Da giorni, durante un reportage fotografico, davamo “la caccia” all’aurora boreale, purtroppo senza successo. Dopo qualche turno sul ponte della nave e qualche malore dovuto al mare mosso i miei compagni di viaggio mi avvisano dell’improvvisa apparizione dell’aurora. Il tempo di infilarmi degli stivali e di precipitarmi in coperta… Appena ho aperto la porta sul ponte… bang! È stato come andare a sbattere contro la Natura in persona. Immagina, mare mosso, nave che beccheggia, nero pesto, apri la porta e vedi questa…immensa… onda verde che ondeggia silenziosa nel cielo… quasi a 180 gradi. Una cosa indescrivibile. Ancora adesso ho i brividi a pensarci… Fotografarla è stato impossibile a causa delle condizioni proibitive ma, forse, è stata la più bella foto mai fatta…”

“Ho visto che hai realizzato una pubblicazione dedicata a Buenos Aires: i luoghi e i momenti del tango. Come si fa a racchiudere in uno scatto, la magia di un ballo così passionale?”

“Il viaggio a Buenos Aires (legato, poi, ad un giro della Patagonia e della Terra del Fuoco), è nato da una passione per il ballo e la musica in se’. Già dopo poche ore in città ho capito che sia i colori forti, saturi, sgargianti, dei “luoghi” del tango a Buenos Aires (ad esempio, il quartiere della Boca) sia le atmosfere rallentate, retro, fumose, in bianco e nero, delle milonghe, esprimano la nostalgia di quanti abbandonarono i loro Paesi per sempre.

I luoghi della quotidianità furono colorati per coprire, mascherare, distrarre da un’innegabile povertà. Ed i momenti della nostalgia furono mantenuti…in bianco e nero.

Non so voi, ma io non riesco ad immaginare un tango a colori. Come non riesco ad immaginare Buenos Aires in bianco e nero.

Ed ecco come è nata una pubblicazione sui luoghi ed i momenti del tango a Buenos Aires. Un alternarsi di scatti a colori ed in bianco e nero. Ma non è così anche la vita?”

Nella foto un'immagine tratta da Buenos Aires: i luoghi e i momenti del tango by Antonio Amendola

“Next stop? Quale sarà la prossima tappa del tuo viaggio fotografico?”

“A fine dicembre, probabilmente, andrò in Uganda per documentare il lavoro straordinario di una ONG che supporta dei villaggi della zona dell’Alto Nilo. E’ una zona che mi affascina, anche alla luce della secolare storia delle esplorazioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Vedremo…”

“Invece il tuo sogno nel cassetto qual è? Qual è il luogo che desidereresti immortalare?”

“Sì, ci sarebbe un sogno nel cassetto che prima o poi realizzerò. Raggiungere l’isola di Tristan da Cunha, ad una settimana di navigazione a sud di Città del Capo. E’ l’avamposto umano più remoto al mondo, ed è un enclave britannica. Solo circa 400 abitanti che popolano “Edimburgh of the Seven Seas” (già il nome meriterebbe il viaggio) raggiungibili solo via mare con cargo mercantili che partono poche volte all’anno dal Sudafrica. L’isolotto antistante si chiama, pensa, Inaccessible Island… Ho fatto delle ricerche sui cognomi degli abitanti. Due, ricorrenti, sono di origine genovese e discendono da pescatori di una baleniera affondata lì nei pressi. Non male la storia, eh?”

“Spiegami meglio cos’è Shoot 4 Change? Ho visto che nei fai parte. Tu credi che si possa cambiare con un click?”

“E’ un’iniziativa che ho ideato ed avviato recentemente e che, ogni giorno che passa, sembra crescere e – quasi – vivere di vita propria. Scherzi a parte, si tratta di un network di fotografi (professionisti e non) uniti dalla convinzione che una fotografia possa cambiare il mondo. O meglio, possa contribuire ad avviare un cambiamento. Pensa alla foto dello studente di Tienanmen che ferma il carro armato, o le foto del Vietnam, o il fungo nucleare o gli scontri in Birmania recentemente o le foto scattate in Iran pochi mesi fa ed inviate tramite Twitter. Sì, si può cambiare. E basta poco.

Noi realizziamo servizi fotografici del tutto gratuiti per ONG ed altre istanze sociali senza fini di lucro. Condividiamo un po’ del nostro tempo, mettendo a disposizione un po’ di talento fotografico per documentare realtà spesso trascurate.

E’ un’iniziativa aperta a tutti e che si sta rivelando una sorte di peer-to-peer professionale e sociale molto interessante. Recentemente, ad esempio, ho potuto contare su dei fotografi che non conoscevo di persona per dei reportage sulla Marcia Mondiale per la Pace (della quale siamo diventati, poi, sponsor su tutti i siti internazionali) e per la Notte dei Senza Dimora a Roma e Milano. Basta spargere la voce, un pizzico di marketing virale….e qualcosa di buono e bello succede sempre.

Mi è capitato di conoscere il grande Maestro Tony Vaccaro, che ha fotografato l’Europa della Seconda Guerra Mondiale (ha partecipato alla Sbarco in Normandia) e l’Italia del dopo Guerra. Mi ha insegnato che il bello si trova dappertutto e che è compito del fotografo scovarlo e raccontarlo”

“A proposito di sensibilizzare l’opinione pubblica e rendere partecipe la gente su iniziative umanitarie importanti, nei giorni scorsi si è svolta La notte dei senza dimora. Cosa mi puoi raccontare a tal riguardo?”

“Beh, siamo stati felicissimi di partecipare agli eventi di Roma e Milano. Vedi, con Shoot 4 Change stiamo conoscendo delle realtà del nostro Paese che spesso ignoriamo (come la vergogna dei senza dimora, che quasi volontariamente facciamo finta di ignorare ai margini delle nostre città e dei quali ci ricordiamo solo quando comincia a fare davvero freddo). E a margine di queste iniziative, la vera sorpresa sono le tante, tantissime, brave persone, i volontari delle Associazioni, che dimostrano come il nostro Paese, in fondo, sia davvero splendido. Forse l’Italia non sarà un paese di brava gente…ma sicuramente lo è di brave persone.

In questo caso abbiamo realizzato quattro foto gallerie ed un videoclip visionabile sul nostro blog www.shoot4change.net

“Grazie Antonio per la tua disponibilità. Un’ultima cosa prima di concludere. Ma se non avessi fatto il fotografo, cosa avresti fatto?”

“ (sorridendo)… Non capisco la domanda”

Con questa nuova consapevolezza verso l’utilizzo della fotografia, prendo la mia piccola digitale. La guardo con una luce diversa, come se avessi ritrovato un vecchio gioco al quale ero legato da bambino. Metto le batterie in carica e guardo fuori dalla finestra. Con la mente sto già viaggiando, ripensando a quello che mi ha raccontato Antonio. Click.

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